MOBBING E ANTISEMITISMO
Franco Debenedetti Teglio è uno dei padri fondatori di Risorsa fin dal 2000 e ne è oggi Vicepresidente. Gestisce i servizi dei “Gruppi di Mutuo Aiuto”, realizzati dal 2005 ad oggi (in presenza prima della pandemia) ed ora on line: vedi link per venire incontro a coloro che decidono di raccontare le proprie vicende di mobbing, trovando negli altri partecipanti al gruppo un sostegno psicologico che spesso li aiuta a superare le loro difficoltà. Con i “Gruppi”, Franco ha creato una “Casa comune” con quelle persone che invece preferivano colloqui individuali allo Sportello d’ascolto e orientamento in un rapporto uno-a-uno con i Volontari e che continuano ad essere presenti nel medesimo progetto di “Risorsa on line”. Ma Franco ha un’altra importante attività di Volontariato che da anni porta avanti nelle scuole per tener viva nelle giovani generazioni la memoria della “Shoah” ebraica che tanto ha inciso nella sua vita. Egli paragona il mobbing sul lavoro a qualcosa di molto simile (anche se ad un altro livello) a quanto è avvenuto con le leggi razziali in Italia che hanno prima emarginato e poi portato al genocidio milioni di ebrei. Infatti, se il mobbing lede i “diritti civili” dei lavoratori e lavoratrici, l’antisemitismo lede i “diritti umani” di tutte le persone. Debenedetti ha trasmesso alla redazione Risorsa questo testo che, oltre a contenere concetti giuridici è anche una sua testimonianza diretta. Troverete parole che ben rappresentano il mobbing e l’antisemitismo, solo apparentemente lontani: vulnerabilità, discriminazioni, violenze, umiliazioni, vessazioni, esclusioni. Trovate poi la toccante immagine tratta dal film da Oscar “La vita è bella”. Il saggio è una rielaborazione dell’Introduzione al Convegno “1938: antisemitismo giuridico italiano. A ottant’anni dalle leggi razziali” che si è svolto al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, il 20-21 novembre 2018, ma che è più che mai attuale. L’autore è Baldassare Pastore, Università degli Studi di Ferrara
IL 1938 E LE FERITE DELL’ANTISEMITISMO GIURIDICO
Il 1938 e le ferite dell’antisemitismo giuridico
La legislazione antiebraica del 1938 rappresenta un esempio paradigmatico di come il diritto possa operare come fattore di “vulnerazione”. La parola rinvia alla vulnerabilità che, pur essendo un fenomeno di ampio spettro, è tuttavia riconducibile ad un nucleo semantico riguardante la suscettibilità a venire feriti, offesi.
La vulnerabilità, in ambito politico e giuridico, risulta associata alle diverse situazioni nelle quali discriminazioni, stigmatizzazioni, violenze diventano salienti nel produrre il non-riconoscimento nei confronti degli individui e si connette tipicamente alle esperienze dell’umiliazione, della vessazione, dello spregio. Tali esperienze toccano: a) l’integrità e la libertà, minacciate dalla violenza che ci pone nell’impossibilità di esercitare l’autonomia personale; b) la comprensione che una persona ha di sé, negata da atti e comportamenti che colpiscono un soggetto escludendolo dal soddisfacimento di pretese legittime, rappresentando un attacco al rispetto e alla stima che poniamo in noi stessi; c) l’identità individuale, ferita con l’esclusione dello status di partecipanti all’interazione e di eguali soggetti di diritto. Si tratta di esperienze che negano la dignità umana. La nozione di vulnerabilità, in questa prospettiva, diventa una categoria euristica e un indicatore qualitativo e quantitativo delle violazioni alla eguale dignità degli esseri umani. Le leggi antiebraiche (razziste) del 1938 e i successivi provvedimenti amministrativi introdussero divieti e obblighi di varia natura, ognuno dei quali produceva effetti notevoli sui destinatari e sull’insieme della società italiana. Si è trattato di disposizioni e provvedimenti che realizzavano la sinergia tra le pseudo-scienze della razza e un progetto totalitario che individua e sceglie il tema della razza come elemento costitutivo e fondante della sua ideologia e come centro delle sue politiche.