MOBBING E MOLESTIE – L’ASSENZA DI UNA LEGGE
L’articolo conferma, purtroppo, una nostra ipotesi e cioè che nonostante siano presenti in Parlamento ben 3 proposte di legge in argomento, queste sono ancora ferme in diverse commissioni parlamentari. Quindi continua a mancare una legge.
Fonte: il sussidiario.net – articolo di Alessandra Servidori – 23.07.2023
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Sintesi a cura della redazione Risorsa
L’Italia ha ratificato la Convenzione Oil sulle molestie nel mondo del lavoro, ma deve ancora legiferare in merito. Come pure sul mobbing. La mancanza di una legge pesa sui lavoratori, ma anche sulle imprese
L’organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha adottato la Convenzione n. 190 e la relativa Raccomandazione n. 206 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro che arricchiscono il codice internazionale del lavoro e stabiliscono degli standard per il rafforzamento della legislazione, delle politiche e delle istituzioni nazionali per rendere effettivo il diritto di tutti/e a un mondo del lavoro libero da violenza e molestie. Queste norme segnano una tappa storica per la realizzazione di un futuro del lavoro fondato sulla dignità e il rispetto dei diritti dei lavoratori, delle lavoratrici e delle altre persone nel mondo del lavoro e per garantire le pari opportunità. L’Italia è il secondo Paese europeo e il nono su scala mondiale ad aver ratificato la Convenzione Oil n. 190 che è entrata in vigore il 29 ottobre 2022 . Con la ratifica, lo Stato italiano si è impegnato ad adeguare la normativa nazionale ai principi e ai diritti previsti da questo trattato internazionale, ma nell’ordinamento giuslavoristico italiano non esiste una fattispecie omnicomprensiva e unitaria di violenza e molestie lavorative, né tantomeno di mobbing. Esiste invece una distinzione tra la tutela antidiscriminatoria che è caratterizzata da una nozione unitaria di “molestie” e quella di diritto comune, che si articola in una pluralità di distinte fattispecie derivate principalmente dall’interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 2087 del Codice civile, con conseguente disparità di effetti e di tutele. In Senato sono state depositate tre ddl: Disposizioni in materia di molestie sul lavoro, di molestie sessuali e di mobbing (A.S. n. 89, A.S. n. 257 e A.S. n. 671) sulle quali in Commissione unificate lavoro, salute, si sta discutendo. Dispersa in una pluralità di fonti e di sentenze, la frammentarietà della disciplina di diversi tipi di fattispecie e la limitatezza della figura di violenza lavorativa più frequente nella prassi suggerisce una razionalizzazione unificante. Sul piano della fattispecie definitoria e della correlativa normazione, si evidenzia la disfunzionalità del sistema “binario” diviso tra l’art. 2087 del Codice civile e la legislazione antidiscriminatoria legata soprattutto all’articolo 26, commi 1, 2 e 2-bis, del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198. Ben più funzionale per gli operatori del diritto sarebbe l’adozione della tecnica utilizzata dalla Convenzione Oil, la cui definizione ha unificato tutte le possibili manifestazioni di violenza e molestie nel mondo del lavoro, costruendo attraverso il sistema delle “clausole generali” una fattispecie elastica e a maglie larghe, capace di adattarsi alle esigenze del caso concreto sia nel diritto pubblico che privato, rifuggendo al contempo da una rigida normazione per elenchi tipologici. La tutela delle vittime di violenza e di molestie lavorative nell’ordinamento giuslavoristico italiano manifesta un aspetto “a due facce”, presentando da un lato una serie di rimedi processuali in linea con le prescrizioni della Convenzione e, dall’altro, rivelando una mancanza di effettività. Il datore di lavoro può essere responsabile anche nel caso in cui le molestie sessuali siano commesse da altri soggetti come i superiori gerarchici della/del dipendente. In tal caso, però, la sua responsabilità è solo civile e limitata al risarcimento del danno ovvero alla reintegrazione nel posto di lavoro. Qualora invece dolosamente il datore di lavoro non adotti provvedimenti a tutela del lavoratore molestato, è configurabile in capo al medesimo un concorso nel reato e si rientra nella responsabilità penale.
Nell’ipotesi in cui l’autore delle molestie sessuali sia proprio il datore di lavoro, questi si renderà, oltre che inadempiente agli obblighi contrattuali, responsabile penalmente e, quindi, sarà tenuto a risarcire non solo il danno biologico, ma anche il danno morale patito dalla/dal dipendente. In assenza di una disciplina organica del fenomeno del mobbing, la giurisprudenza è intervenuta in funzione di “supplenza” del legislatore, riscontrando non poche difficoltà ai fini della tipizzazione delle condotte, configurabili attraverso una varietà di atti e comportamenti in cui elementi soggettivi di carattere psicologico rendono più complessa l’analisi probatoria. Dunque, auguriamoci che il buonsenso dell’Oil accompagni i lavori parlamentari.