MOBBING PER IL DIRIGENTE: QUANDO SI VERIFICA
L’articolo è solo un estratto di uno ben più corposo che riguarda le modalità del verificarsi del fenomeno del mobbing, purtroppo già note ai nostri lettori. Ci è parso interessante riportare la parte che riguarda il mobbing verso un dirigente. Si parla in generale di “mobbing ascendente”, ma solo quando parte dai dipendenti verso un superiore. L’articolo invece fa riferimento ad una ordinanza della Cassazione che considera le azioni di un datore di lavoro (specialmente nella Pubblica Amministrazione) verso i dipendenti in posizione dirigenziale
Fonte: laleggepertutti.it – articolo di Carlos Arija Garcia – 1 dicembre 2022
Link: https://www.laleggepertutti.it/614008_quando-ce-mobbing-per-il-dirigente
Sintesi a cura della redazione Risorsa
Tra le condotte del datore che possono essere causa di mobbing c’è anche il ripetuto trasferimento ad altri incarichi senza una giustificazione e decisi in modo irrazionale. Lo aveva stabilito la Cassazione in tempi non lontani e lo ha ribadito con una recente ordinanza.
Questa volta, però, la Suprema Corte si è focalizzata sulla figura del dirigente, spiegando che il suo spostamento sistematico a incarichi meno rilevanti è classificabile come mobbing. L’elemento qualificante di questo illecito, spiega l’ordinanza, non va cercato nelle singole condotte del datore (in questo caso, un ente locale) ma nell’intento persecutorio che lega i vari episodi. In altre parole: un trasferimento in sé può anche essere lecito, se dovutamente giustificato. Ma continui spostamenti a raffica, ledendo ogni volta la professionalità del dirigente e causando una lesione psicologica, non lasciano alcun dubbio sul tentativo di penalizzare il lavoratore. A maggior ragione, aggiunge in questo caso la Cassazione, quando la giustizia amministrativa si è pronunciata più volte contro i vari cambiamenti di ruolo.
Più in generale, la Suprema Corte ritiene che spostare in continuazione un dipendente senza apparente motivo appellandosi ad esigenze organizzative nasconde, in realtà, un’intenzione punitiva nei confronti del lavoratore, il che, se ripetuto nel tempo, può configurare il mobbing. Da una parte, sostengono gli Ermellini, c’è l’accertata esistenza di una dequalificazione e di diverse condotte datoriali illegittime, che il tribunale è riuscito a identificare come atteggiamenti persecutori nascosti dietro apparenti atti organizzativi. Dall’altra, si può parlare di mobbing quando la situazione subita dal dipendente rende costui fisicamente più fragile e soggetto a sviluppare una patologia.