CAUSE DI ABBANDONO DEL POSTO DI LAVORO: UN’ANALISI SOCIOLOGICA
Data la rilevanza per Risorsa, riassumiamo un articolo, in conformità agli art. 65 e 70 della legge sul diritto d’autore, che mette in evidenza sia la situazione del mondo del lavoro dopo il Covid, sia il cambiamento organizzativo delle aziende, che provoca ambienti di lavoro definiti “tossici”. Importanti sono anche i riferimenti alla “generazione Z”, cioè ai giovani che entreranno nel mondo del lavoro, con la loro carica innovativa
Fonte: lagazzetta del mezzogiorno.it – articolo di Emanuela Megli – 1 ottobre 2022
Link all’articolo completo: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/editoriali/1360144/grandi-dimissioni-le-radici-sono-nel-lavoro-tossico.html
Con l’abbandono del posto di lavoro si verifica spesso una reazione agli ambienti tossici, in cui si le persone si sentono strumenti sterili a servizio della produzione, senza scopo e senza motivazione. Il fenomeno chiamato The Great Resignation che spiega come molte persone, dopo la pausa pandemica, non sono più riuscite a ritornare a vecchi schemi di lavoro e a vivere la propria dimensione, dopo il confronto con ritmi di vita più lenti e congeniali con le proprie esigenze di vita e di conciliazione di famiglia e lavoro. Ma esso mette in luce anche un problema relativo alla leadership e alle modalità di gestione delle persone, che hanno bisogno di nuove forme di relazione, non più basate sul controllo, ma sulla fiducia.
È cambiato il paradigma delle relazioni, sia nelle strutture informali, come la famiglia, che in quelle formali, dal modello autoritario e paternalistico ad un paradigma autorevole, dove chi ha funzioni decisionali e di responsabilità, di comando e controllo, deve imparare a gestire anche la propria affettività, creando delle relazioni basate sul dialogo, sul confronto, sulla capacità di ispirare ed essere di esempio, facendo leva sui valori delle persone intercettando i loro propositi di vita, che possono essere raggiunti attraverso il loro contributo allo scopo dell’organizzazione. Con l’abbandono del posto di lavoro si verifica spesso una reazione agli ambienti tossici, in cui si le persone si sentono strumenti sterili a servizio della produzione, senza scopo e senza motivazione. Secondo il report State of the Global workplace 2022 di Gallup, solo il 14% dei lavoratori è «motivato» dal proprio lavoro. In Italia solo il 4%.
Stiamo partorendo, parallelamente, dopo una lunga gestazione culturale, un cambio di paradigma nella struttura organizzativa, dal modello gerarchico formale taylorista e fordista del secondo dopo guerra, al modello orizzontale sull’esempio di Toyota e poi di Olivetti in Italia e qualche imprenditore contemporaneo più illuminato, fino al modello di economia circolare e comunitario delle relazioni fondate su alleanza, affettività, autenticità, in uno stile di gestione comunitario, in cui chi è responsabile non esercita un potere, ma lo amministra con distacco per il bene della squadra e per lo scopo finale dell’impresa.
Un modello per pochi eletti, o una strada obbligatoria che segnerà un cambio di passo nell’economia e nel mercato del lavoro, su cui si giocherà la competizione delle imprese dei prossimi anni? Una tendenza in forte sintonia con il quadro delle politiche comunitarie e nazionali in tema di «Conciliazione vita lavoro» e da esso sollecitata negli anni: dalla legge di stabilità del 2016/2017 e successive che hanno introdotto i modelli di lavoro fondati sulla flessibilità oraria, organizzativa e sul welfare aziendale, tenendo conto dei valri della famiglia e delle differenze di genere, fino ai Goal dell’Agenda 2030 dell’ONU. Politiche non sociali ma economiche. Si moltiplicano i post, gli articoli scientifici e divulgativi sul benessere delle persone a lavoro: si sta giocando una sfida importante, quella di un adeguamento ad una rivoluzione silenziosa, che supera il concetto di generazione e che vede persone libere (non ribelli) che stanno dettando le regole del cambiamento dal di dentro, figlie di un disagio della concezione del lavoro del passato, che chiede condizioni eque, dignitose per tutti, perché la persona sia davvero al centro e prima di ogni altro scopo.
Si leggono pareri preoccupati di professionisti e studiosi che esprimono giudizi, talvolta paternalistici, sulla incapacità della Generazione Z di sopportare la fatica e il dolore. Attribuiscono le cause al cambio del paradigma educativo. E se invece si stesse trattando di ragazzi fragili si, a causa di numerose complessità (tra cui generazioni genitoriali autoritarie, narcisiste e spesso assenti), che però hanno recuperato le proprie forze ed energie e in qualche modo hanno guarito in sé stessi le ferite dei propri genitori trovando essi stessi la «cura» per sé stessi e per le generazioni a venire? Spettatori passivi di genitori spesso sfruttati e vittime di burn out, ubriachi di lavoro, personalità perdute nell’identità professionale. Hanno raccolto i cocci delle loro sofferenze e le hanno trasformate in volontà e determinazione per una vita diversa, che parla di semplicità e di verità, di equilibrio? Generazioni che hanno capito il rischio di un’umanità insostenibile.