IL GASLIGHT
L’articolo parla di una forma di violenza “il gaslight”, che se adottata in un luogo di lavoro può configurare il fenomeno del mobbing: pertanto, anche se lo abbiamo già trattato ci è sembrato importante averne conoscenza, sia per le implicazioni giuridiche che psicologiche, con richiami alla letteratura in argomento (nota di redazione)
Fonte: www.iusitinere.it – articolo di Elisa Teggi – 10/02/2022
Link all’articolo completo: https://www.iusinitinere.it/il-gaslight-40795
Introduzione.
Esistono forme di violenza che non sfociano in un contatto fisico o che non sono l’esito di una rabbia espressa o di un’aggressione fisica. Esistono forme di violenza infide, insidiose, che sono fatte di lunghi silenzi e parole che fanno male, pungenti, subdole, che minano l’anima e che, come uno stillicidio, portano a poco a poco a dubitare di se stessi, fino ad arrivare al pensiero di essere veramente “sbagliati”, facendo crollare ogni sicurezza verso di sé e verso ciò che ci circonda. Questa violenza continua ed insidiosa, solitamente, viene perpetrata all’interno delle mura domestiche, laddove vi è un partner che opera un vero e proprio “lavaggio del cervello” e un altro che lo subisce. Si tratta soggetti particolarmente deboli, che vengono manipolati al punto tale da essere indotti a credere davvero di provare i reali sintomi della malattia psichiatrica. Parliamo del fenomeno noto con il nome di “gaslight”.
Nel prosieguo dell’articolo si andrà ad analizzare questo fenomeno, cercando di comprendere le forme attraverso cui viene attuato, estrapolandone atteggiamenti ed origini, al fine di comprenderne le cause ed i risvolti, per poi definire l’aspetto giuridico e l’evoluzione normativa legata al fenomeno.
Origini del gaslight.
Il termine gaslight trae origine da un’opera teatrale del 1938 intitolata appunto “gas light” (luci a gas), da cui è stato tratto un film del 1944 “Gaslight”, la cui versione italiana porta il titolo di “Angoscia”. Emblematica pellicola in cui psicologia e cinema si intrecciano e si snodano lungo un susseguirsi di azioni di manipolazione psicologica perpetrate nei confronti di un soggetto debole. Nel caso specifico, la moglie viene condotta alla pazzia attraverso una serie di comportamenti perpetrati dal marito. Trattasi di azioni costanti ma impercettibili, flebili ma pungenti, come una sorta di lento stillicidio, un reiterarsi di comportamenti sempre e comunque negati dall’abusante. Nel film, ad esempio, l’uomo porta la donna alla follia affievolendo in modo subdolo e graduale le luci della lampada a gas, cosa che la donna nota, ma viene sempre tacciata di ricordarsi male o essere solo frutto della sua immaginazione.
Oggetto del gaslight. Fasi e scopo.
Tale manipolazione psicologica maligna e violenta porta la vittima a dubitare di se stessa, della comprensione della realtà, della sua memoria e dei suoi sentimenti, giungendo a percepirsi sbagliata e confusa, fino ad essere completamente in balìa del proprio abusante, che vede, nonostante tutto, come unica ed ultima àncora di salvezza.
Il gaslighter mina alla base di ogni certezza e sicurezza della propria vittima, tramite un “lavaggio del cervello”, che porta quest’ultima a ritenere di meritarsi la punizione che le viene inflitta in quanto colpevole di aver sbagliato. Ecco allora compiuta quella violenza sottile che viene così giustificata dalla vittima stessa che subisce, nel quotidiano, una violenza perpetrata e duratura, che scema la propria capacità di autonomia valutativa, fino ad annullarla totalmente. Il modus operandi nel gaslight porta la vittima ad una dipendenza nei confronti delle opinioni del proprio abusante, facendo insorgere quel senso di insicurezza che spinge, nonostante tutto, a cercare la costante approvazione da parte dell’altro, il quale, però, ha tutto l’interesse a rendere la sua “preda” insicura e dipendente da lui. La conseguenza è il manifestarsi di una sorta di dipendenza reciproca: l’offender reitera i propri abusi psicologici riversandoli costantemente sul proprio bersaglio e, di contro, questi vede in lui la sua unica àncora di salvezza, convinto di trovare in lui e solo in lui la possibilità di ridurre il proprio senso di inadeguatezza. Si viene così a creare una deresponsabilizzazione reciproca in un rapporto in cui il gaslighter rappresenta la figura predominante sull’altra persona che, al contrario, soccombe a lui. Il primo acquisirà sempre maggior controllo, il secondo, sempre più inconsapevole di ciò che sta accadendo, sarà portato a chiudersi fino a raggiungere uno stato di depressione.
Nel gaslight si possono individuare tre fasi (Mascialino, 2011):
1.Incredulità e distorsione della comunicazione. Fase in cui l’azione dell’abusante si concretizza solo in forma verbale. La vittima, inizialmente disorientata e confusa, ma non ancora subdola del proprio manipolatore, non ritiene vero ciò che le accade intorno o ciò che le viene raccontato. Vive come in un’atmosfera onirica. La comunicazione con l’abusante è un’alternanza di ostili silenzi e dialoghi destabilizzanti. La vittima ha, tuttavia, ancora una certa sicurezza di sé.
2.Difesa. Le sicurezze finora avute dalla vittima iniziano a indebolirsi nel tentativo di difendersi dal suo manipolatore, attuando meccanismi di rabbia causati dalla volontà di ribadire la propria posizione di persona sana e conscia della realtà oggettiva, sostenendo al contrario la non veridicità di quello che le viene raccontato. Nel tentativo di stabilire un dialogo finalizzato all’ascolto dell’altra persona, crede di poter cambiare il comportamento del gaslighter. Purtroppo, ciò non fa altro che farle perdere il controllo indebolendo sempre più la propria posizione e predisponendola maggiormente alla manipolazione, permettendo al suo abusante di adottare strategie di violenza psicologica sempre più subdole e soggioganti.
3.Depressione. Fase della convinzione da parte della vittima della veridicità dei racconti del suo abusante. Insicurezza, rassegnazione, vulnerabilità e quindi dipendenza dall’altro: l’apice della violenza psicologica viene raggiunto in questa fase del gaslight. Convinta spesso di una sua disfunzione a livello mentale o cerebrale, per l’abusato diviene necessaria la vicinanza del proprio carnefice, nella convinzione che solo lui possa essere in grado di aiutarla a superare questa sua condizione di insicurezza e disorientamento. Più la vittima è dipendente, più è vulnerabile e quindi incapace di chiedere aiuto a terzi, con tendenza all’isolamento a causa del suo stato confusionale e di senso di inadeguatezza.
Soggetti abusanti.
Manipolatore è colui che calcola perfettamente le possibili reazioni della sua vittima, ne studia i punti deboli allo scopo di renderla migliore per quello che è il suo schema mentale, non di deprimerla. Cercherà dunque di farla dipendere completamente da lui, tanto che si sentirà autorizzato a sostituirsi a lei in tutti gli aspetti decisionali della sua vita.
Questa tipologia di violenza, perpetrata nella maggioranza dei casi all’interno del nucleo familiare, vede vittima e carnefice quasi sempre in rapporto relazionale molto stretto e quotidiano, o comunque tale da consentire l’instaurarsi di un rapporto fiduciario. Solitamente i soggetti sono partner o madre – figlio. Nel primo caso, il più frequente, il rapporto tra i partner si cronicizza nel momento in cui la donna (solitamente la vittima) viene manipolata a tal punto da convincersi della veridicità di ciò che il suo partner le racconta, addirittura idealizzandolo. Nel secondo caso invece, il rapporto manipolatorio, che vede coinvolti genitore e figlio, si sostanzia nel non giungere mai alla fase di maturazione del figlio all’età adulta. Il genitore continuerà, pertanto, a rapportarsi con lui in modo autoritario, fungendo da ostacolo allo sviluppo della sua personalità ed autonomia. Alcuni studiosi ritengono che certe forme di abuso e maltrattamento siano caratterizzate da un profilo di “perverso narcisista” (Hirigoyen, 2000; Filippini S., 2005). Eiguer (1989) ritiene che il perverso narcisista sia “colui che influenzato dal suo IO grandioso, cerca di stabilire un legame con un altro individuo attaccandosi in particolar modo alla sua integrità narcisistica per disarmarlo».
In letteratura scientifica sono state elaborate tre figure riconducibili a quella del gaslighter:
-l’affascinante. Probabilmente il più insidioso, dotato di charme, ostenta classe alternando silenzi ostili a lusinghe d’amore. “Chi seduce distoglie dalla realtà, agisce di sorpresa, di nascosto […] allo scopo di qualcuno che lo ammiri, che gli rinvii una buona immagine di sé. Una seduzione perversa a senso unico […] con cui il perverso narcisista cerca di esercitare fascino senza lasciarsi coinvolgere” (Hirigoyen, 2000);
-il bravo ragazzo. Si mostra attento, premuroso, facendo credere di agire per il bene della vittima, talvolta in modo eccessivo, ma in realtà antepone sempre i propri bisogni ed agisce per un proprio tornaconto, pur riuscendo a dare un’impressione diametralmente opposta. “Questo controllo‐premuroso costituisce il terreno per creare quella permeabilità emotiva tale da consentire una sorta di effrazione psichica, per cui il perverso narcisista conquista il possesso della mente dell’altro convincendolo che solo lui ha ragione e solo lui conosce veramente ciò di cui ha bisogno”;
-l’intimidatore. Certamente il più diretto dei tre. A differenza degli altri, ha atteggiamenti duri e spesso violenti ed aggressivi con la vittima, non preoccupandosi di nascondersi dietro falso volto. Rimprovera ed umilia la vittima in modo da influire sulla sua capacità decisionale e sulla sua volontà psichica.
L’obiettivo del gaslighter, comune a tutte e tre le categorie, è sempre quello di togliere all’altro la padronanza di sé, creare dipendenza fisica e psicologica annullandone autonomia decisionale, sicurezza, fiducia nel proprio essere, conducendo la vittima a ritrovarsi imprigionata in un comportamento che inconsciamente la condurrà ad essere complice del proprio aguzzino.