RICONOSCERE UN COLLABORATORE VITTIMA DI MOBBING
Interessanti in questo articolo, già comparso sulla nostra pagina FB, curata dal Consigliere Risorsa Salvatore tonti, la classificazione delle tipologie dei “mobber” , le strategie che il lavoratore potrebbe mettere in atto per una “resistenza attiva” e l’intervento “formativo” delle aziende nei confronti del “middle management”. Sono questi infatti i 3 “attori” nel percorso di mobbing. La sintesi è a cura di Erika Porzio, Volontaria Risorsa, mentre l’articolo completo è al seguente link
Fonte: stimulus Psya; gennaio – 2018.
Il principale segnale d’allarme che si manifesta in una persona vittima di mobbing è individuabile nel fatto che essa non lavori più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza; la sua produttività si riduce notevolmente sino ad arrivare all’80% della capacità lavorativa individuale. Il soggetto “mobbizzato” manifesta problemi psicosomatici che lo costringono a lunghe e continue assenze per malattia (disturbi gastrointestinali, problemi cardiaci, depressione, attacchi di panico). A livello psicologico si manifestano: perdita di autostima, depressione e, soprattutto, un senso di inadeguatezza costante. Qualsiasi lavoratore potrebbe essere vittima di mobbing, anche se sembra che le persone più a rischio siano quelle o troppo passive o troppo aggressive. D’altro canto, è possibile identificare anche gli autori di vessazioni sul lavoro suddividendoli in alcune tipologie:
- l’istigatore: colui/colei sempre alla ricerca di nuove cattiverie e maldicenze volte a colpire gli altri;
- il collerico: è la persona che non riesce a contenere la rabbia e far fronte ai suoi problemi e solo prendendosela con gli altri riesce a scaricare la forte tensione interna;
- il megalomane: è colui/colei che ha una visione distorta di se stesso, colui che si considera sempre al di sopra e ha un senso dell’Io grandioso che lo autorizza a colpire gli altri ritenuti inferiori;
- il frustrato: è l’individuo insoddisfatto della sua vita che scarica la sua collera sugli altri;
- il sadico: è colui/colei che prova piacere nel distruggere l’altro e non è disposto a lasciarsi scappare la vittima; questo individuo, identificato come il perverso narcisista, rappresenta il modello più pericoloso in quanto è da considerarsi uno psicotico senza sintomi che rifiuta di prendere in considerazione i suoi conflitti interni e trova il suo equilibrio scaricando il dolore su un altro;
- il criticone: è la persona sempre scontenta degli altri: crea un clima di insoddisfazione e di tensione;
- il tiranno: è simile al sadico, non sente ragione ed i suoi metodi seguono uno stile dittatoriale;
- l’invidioso: è colui/colei che è sempre orientato verso l’esterno e non può accettare l’idea che qualcun altro stia meglio di lui.
Come dovrebbe comportarsi la vittima nel contesto lavorativo?
Una strategia utile per reagire consiste nel non isolarsi ma nel coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici, rinsaldare i rapporti familiari e fare tutto ciò che possa diventare una valvola di sfogo. Molte volte si cercano “alleati” tra i colleghi, ma difficilmente si trovano, in quanto essi stessi spesso sono timorosi di avere ritorsioni o temono il licenziamento. Solo migliorando la comunicazione con i colleghi e le colleghe c’è una buona probabilità di avere un riscontro; di acquisire maggior autostima, anche per capire se si tratti effettivamente di mobbing e per aumentare il rispetto di sé.
Che tipo di intervento psicologico si potrebbe proporre?
Di solito si propongono due tipologie di intervento:
1) l’intervento soggettivo;
2) l’intervento aziendale.
Nel caso dell’intervento soggettivo l’oggetto di interesse è la personalità dell’individuo. Ciò che ci si propone di fare è quello di far emergere i conflitti pregressi irrisolti del singolo.
In una situazione di mobbing, gli attacchi del mobber feriscono perché vanno a toccare quegli aspetti particolari della vittima che non riesce a ripristinare dei confini interpersonali adeguati. Con il tempo, acquisendo la capacità di rispondere correttamente in qualsiasi circostanza, la vittima si sentirà più sicura di se stessa e nei rapporti interpersonali, ispirando rispetto e considerazione; in tal modo riuscirà a salvaguardare la sua dignità e ad evitare che gli attacchi costituiscano la base delle premesse per un malessere profondo.
Nel caso dell’intervento mirato all’azienda, si dovrebbe attuare un percorso formativo che corregga e indirizzi adeguatamente il lavoro delle Risorse Umane e del middle management. Ciò vuol dire concentrare l’intervento sulla cultura aziendale e sull’atteggiamento direttivo per migliorare la gestione delle situazioni critiche, attraverso l’erogazione di differenti metodologie che portino a fortificare le persone sia sul piano psicologico che su quello relazionale.