UNA GIORNATA DI ALTA FORMAZIONE
Risorsa è attenta alle esigenze di formazione dei suoi Volontari e, anche quest’anno il suo Volontario, nonché Vice Presidente dell’associazione, Ferdinando Ciccopiedi ha partecipato all’Accademia di Alta Formazione Polis Policy, scuola di politica organizzata dall’associazione Difendiamo il Futuro, con il contributo del Centro Servizi Volontariato di Torino Vol.To https://www.volontariatotorino.it/ . Ne ha fatto una cronaca, con la sintesi che segue
Fonte: Difendiamo il Futuro – Polis Policy http://www.polispolicy.it/associazione-difendiamo-il-futuro.html?lang=en
Sintesi e commenti a cura della redazione Risorsa – www.risorsamobbing.it
Scopo di questa iniziativa è di inquadrare anche il “lavoro gratuito” dei Volontari in un sistema più ampio che riguarda tutta la società civile, specie in questo periodo di emergenza sanitaria. Il tema di quest’anno, articolato in 3 sessioni, è: “Ripartire dalla persona: solo il lavoro salverà l’Italia” e la seconda sessione, svoltasi recentemente e rigorosamente on line, era dedicata a: Una repubblica “fondata” sul lavoro ?. Il titolo contiene un virgolettato e un punto interrogativo finale, come a chiedersi se è vero che il mondo del lavoro sia ancora quello che i Padri Costituenti intendevano nell’art.1 della Costituzione della Repubblica. I relatori, come al solito di altissimo livello, hanno cercato, di rispondere a questa domanda, cioè se il nostro Paese si fondi ancora sul lavoro, fornendo opinioni diverse. Essi provenivano dal mondo accademico, imprenditoriale e sindacale, una bella sintesi di corpi intermedi dello Stato, che dovrebbero sempre il riferimento dell’attività legislativa. L’estensore di questa cronaca ha rispettato la linea editoriale di Risorsa nel rendere anonimi i nomi dei relatori (per motivi di privacy), ma ha trasformato questo limite in opportunità, classificandoli in 3 categorie: “Pessimisti”, “Realisti” e “Ottimisti” riguardo ai concetti espressi sul mondo del lavoro. Inoltre ha ritenuto di aggiungere commenti personali sugli impatti che gli argomenti di un “volare alto”, come giusto parlando di Alta Formazione, potranno avere sulle attività pratiche dell’associazione Risorsa.
“Pessimisti”
Il primo relatore “pessimista” così si esprime: “Quando si parla di capitale umano delle imprese, in realtà si parla di persone prima che di lavoratori. Ebbene, le persone sono legate alla demografia, cioè alle nascite e alle morti in Italia e, nel 2019, la natalità è stata la più bassa degli ultimi 6 anni, con 420.000 nuovi nati a fronte di quasi 600.000 morti, con un saldo negativo di circa 200.000 persone che andranno a costituire appunto il “capitale umano” delle aziende. Il divario sarà presumibilmente più alto quando saranno pubblicate le statistiche 2020 che terranno conto del Covid19. La paura generata dalla pandemia si aggiunge alle altre paure legate al mondo del lavoro, con l’effetto che diminuisce prima la voglia di un legame stabile come il matrimonio e poi la voglia di genitorialità. Ma le donne che sembrano aver superato queste paure si ritrovano nuovamente di fronte a ad eventi che portano persino a parti prematuri. Già avevano studiato di più e meglio di molti uomini e si ritrovano ora penalizzate per non poter spendere nel mercato del lavoro competenze scientifiche, essendo tradizionalmente orientate verso la sanità (in quella privata rischiano il lavoro nero) e la scuola (dove rimangono precarie per anni pur nell’assenza scandalosa di asili nido, soprattutto al Sud, dove coprono solo il 33% del fabbisogno)”.
Un secondo “pessimista” fa notare che la paura più importante è quella di perdere il lavoro o di non trovarne più a causa delle chiusure di attività imprenditoriali e commerciali (di cui il 40% a rischio chiusura nel 2021 nei settori del turismo, ristorazione e servizi in generale). Uomini, ma soprattutto donne, sono così scoraggiati che rinunciano a cercare un nuovo lavoro.Urge pertanto, a livello di governo, individuare settori strategici in cui poter collocare o ricollocare lavoratori e lavoratrici. Ma l’incapacità legislativa, derivante da rapporti non costruttivi tra Stato, Mercato e Corpi intermedi, si trova di fronte enormi problemi, come la disoccupazione giovanile, lo scarso livello di istruzione dei lavoratori anziani, il tasso di occupazione delle donne, bassissimo soprattutto al Sud Italia. Sembra non aver avuto risultati il decreto dignità (D.L. 87/2018) in quanto non ha generato passaggi a contratti a tempo indeterminato, come pure sono stati lasciati fuori da significative protezioni sociali, come avvenuto in Francia, i lavoratori autonomi. In aggiunta, il pensionamento a quota 100 pare essersi rivolto a posizioni impiegatizie della PA e bancarie, più che a categorie di lavori usuranti, mentre il blocco dei licenziamenti non risolve il problema degli investimenti necessari per far ripartire l’economia post-pandemia. Sono tutte concause che potrebbero sfociare in una “deflagrazione” nella coesione sociale del nostro Paese. Da una parte il CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) indica una stagnazione di produttività nelle aziende sotto i 20 dipendenti, mentre per quelle sopra i 20 dipendenti la produttività è paragonabile a quella della Germania. E’ un indicatore strutturale contraddittorio in quanto l’organizzazione del lavoro nelle piccole aziende (sono il 95% in Italia) è ancora di stampo fordista anche nella nuova economia delle “smart factories 4.0”. Esso ha però ripercussioni a livello individuale in quanto troppi lavoratori con basso livello di istruzione non vengono adeguatamente formati o non giungono preparati dagli ITS più piccoli.(di nuovo in meridione). Si è infine diffusa una “cultura del sussidio” al posto di una cultura del lavoro per tutti, soprattutto per i giovani che non possono costruire un loro futuro. A conferma di questo pessimismo, anche un sondaggio interno in tempo reale tra i partecipanti al webinar rileva che lo 0% crede in un miglioramento , mentre il 61% vede un peggioramento, soprattutto per i giovani (risultato che un relatore definisce “devastante”). E una “ricostruzione totale” dell’Italia è quanto il 18% dei rispondenti allo stesso sondaggio interno, sorprendentemente, si augurano !
Un altro “pessimista” ragiona su cosa c’è da aspettarsi dal lavoro e cita un’enciclica papale – la Laborem exercens di Giovanni Paolo II, 1981 – vedi link ormai di 40 anni fa. I diritti dell’uomo nel lavoro sembrano ancor oggi non riconosciuti se si pensa che non esistono idee alternative per fronteggiare il calo di lavoro, provocato anche dalla tecnologia, se non quelle della Cassa integrazione e del divieto temporaneo dei licenziamenti . Né vi sono grandi idee per la scuola per garantire un futuro ai giovani nel mondo del lavoro
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E’ prevedibile che lo stato di timore generato in chi subisce mobbing verrà aggravato da questa situazione di “paura” generalizzata (sanitaria ed economica), che a volte viene sfruttata da datori di lavoro poco sensibili a tematiche di welfare e che Risorsa avrà maggiori richieste di aiuto da parte sia di giovani precari, sia da donne, sia da lavoratori anziani. Lo scarso livello di istruzione e qualificazione professionale rende poi difficili operazioni di ricollocamento, che spesso, favorite dalla nostra associazione, risolvono il problema del mobbing
“Realisti”
Secondo questa tipologia di relatori, il mondo del lavoro in Italia soffre di una crisi “dimensionale” nel senso che sono troppe le piccole aziende (95% del totale), non solo quelle poco al di sotto dei 15 dipendenti, ma anche quelle che hanno 2-3 dipendenti (nanismo aziendale). Per queste è impossibile fare investimenti in competitività da sole, ma lo diventa se si aggregano all’interno della “filiera di appartenenza” e ciò è già oggi possibile poiché i “player di filiera” ossia le aziende più grandi (in genere di prodotti finiti) individuano come fornitori (in genere componentisti) coloro che sono disposti a innovare aggregandosi e avendo così accesso al credito: è quanto è successo in Giappone 50 anni fa e che potrebbe succedere anche da noi.
Afferma un altro relatore che oltre la crisi dimensionale, ne esiste un’altra: la capacità di visione a lungo termine. Nessun imprenditore oggi fa piani che vadano al di là della gestione corrente, con orizzonti da pochi mesi a 1 anno. Ma in questa realtà di oggi si scorgono (e vanno incoraggiati) coloro che fanno “un bilancio a 1 secolo”, non nel senso di fare una previsione, ma pensando che cosa lasceranno all’azienda che oggi gestiscono (quindi ai propri figli e nipoti, ma anche ai dipendenti) .
C’è poi un altro relatore che, per certi versi, collochiamo qui nella categoria dei “realisti” ma che, per altri versi, abbiamo già collocato in quella degli “ottimisti”. Cominciamo dagli aspetti dell’economia reale di oggi, con impatto diretto sul mondo del lavoro. Tre sono gli elementi, a suo giudizio, che concorrono ad un mondo del lavoro più giusto: la produttività, la dimensione aziendale e le politiche industriali. Il modo di fare impresa sembra aver subito una regressione: infatti, se 100 anni fa c’erano delle aziende “etiche” che, magari in modo paternalistico, cercavano di rendere migliore la vita dei propri dipendenti, oggi sembra quasi esserci una “restaurazione dell’ancient regime” dopo la rivoluzione francese con comportamenti imprenditoriali in disprezzo di ogni forma di collaborazione positiva, perché la micro-dimensione lo permette (anche se è a scapito della produttività) e perché mancano vere politiche industriali. Il problema non è risolto dagli “incubatori” di start up poiché gli unici successi sono concentrati in territori ad alta industrializzazione, mentre intere parti del Paese sono tagliate fuori poiché non esistono imprese, a meno che siano presenti artigiani e commercianti molto specializzati. D’altra parte, anche al Nord esistono delle aree di “periferia” lontane dai grandi centri urbani dove nemmeno gli incubatori possono risolvere il problema, non solo del lavoro, ma anche della coesione sociale. Le politiche industriali poi non sono basate su una “economia della conoscenza” che contribuirebbe allo sviluppo di attività innovative.
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Siccome gli “utenti” dei servizi Risorsa sono spesso lavoratori di aziende che, pur di non investire e mantenere i profitti, cercano di scaricare i costi a danno dei dipendenti, inducendoli al licenziamento, non si può fare altro che sensibilizzare i datori di lavoro a utilizzare quelle buone pratiche che, nel medio periodo, portano ad un miglioramento reputazionale e di profitti, in pratica il concetto di “Responsabilità sociale d’impresa”. E ciò si ricollega il secondo aspetto della mission di Risorsa che, oltre all’ascolto e orientamento delle persone che subiscono mobbing, si propone di sensibilizzare la controparte datoriale come possibilità di risolvere “a monte” il problema.
“Ottimisti”
Le ragioni degli ottimisti partono da una visione di lungo periodo, ben evidenziata da una relatrice esperta in IA. Infatti, se si pensa che già oggi utilizziamo molti strumenti dell’Intelligenza Artificiale” (IA) come gli smartphone, i social, le piattaforme TV digitali e la geolocalizzazione, non è difficile immaginare che queste tecnologie porteranno anche alla nascita di nuovi “mestieri” in grado di assorbire il calo di manodopera nelle attività tradizionali. Secondo il WEF (World Economic Forum), in 26 Paesi del mondo esaminati, a fronte di 85 milioni di posti di lavoro persi, se ne creeranno altri per 97 milioni di unità entro il 2025. E’ una sfida che riguarda le competenze digitali degli occupati, se si pensa che in Italia esistono decine di migliaia di posti vacanti per mancanza di competenze computazionali (uso avanzato del calcolatore elettronico), di gestione delle blockchain (reti informatiche di nodi), di analisi dei dati. In mancanza di adeguamento delle strutture formative (scuola), grazie all’informatica distribuita (vedi smart working, VAR non solo sui campi di calcio, ma anche, recentemente, in Parlamento !), è già possibile che un lavoratore su due possa imparare da solo le nuove tecniche, oppure, nel caso di piccole realtà territoriali (agrifood), che gli imprenditori si uniscano anche solo per condividere i dati su cui prendere decisioni autonome, cosa che da anni si fa tra costruttori di automobili . Lo fanno già i “movimenti di cittadini” che, da Singapore alla Francia offrono servizi di riqualificazione a donne, giovani e residenti nelle periferie delle città metropolitane (notoriamente focolai di scontento e rassegnazione). Ma ciò non sarebbe sufficiente se anche la scuola e l’Università, sull’esempio USA, non si adeguassero, aggiungendo, in ogni ambito del sapere, materie legate all’informatica. La relatrice non poteva dimenticare le donne che, in prima linea durante l’emergenza sanitaria, nella sanità come nella cura di congiunti, hanno dimostrato esempi di concretezza che saranno sempre più riconosciuti in futuro, anche in politica, nonostante ciò che più appare oggi, cioè la violenza contro di loro. In questo quadro di possibile ottimismo, un relatore colloca l’associazione Base Italia: vedi link
per la promozione e realizzazione di iniziative anche in materia di lavoro per sviluppare le potenzialità del Paese basate sulle competenze. Attenzione – dice sempre il relatore – non bisogna scambiare la percezione delle cose con la realtà. Ad es. se è vero che aumentano le diseguaglianze, è anche vero che la povertà è diminuita e, ancora: se la gente pensa che i delitti siano aumentati, i dati ufficiali dimostrano che sono diminuiti. La trasmissione di una visione negativa crea pessimismo e fatalismo, spingendo così verso il risparmio e non verso il consumo o l’investimento (è classico l’esempio dell’Italia per le case di proprietà, che rappresentano l’80% del totale, contro il 50% della Germania). In conclusione, a giudizio del relatore, è la mediocrità della politica a impedire una rinascita del Paese dopo la pandemia. Nei vari piani che i politici hanno presentato finora sembrano mancare obiettivi, responsabili di progetto e, importante, la misurazione dei risultati ( i 3 elementi della governance, che certamente dovranno rendicontare in Europa e non potranno prescindere dall’utilizzo di persone competenti). Altre considerazioni, riprese dal relatore concernono il modo in cui è possibile vedere un barlume di speranza nel futuro: esso è affidato al “terzo settore imprenditoriale”. Terzo Settore è, nell’immaginario collettivo, associato ad attività filantropiche e di volontariato sociale, ma quello che qui si vuole evidenziare è la presenza, oltre le aziende “profit”, anche di aziende “non profit oriented”, cioè non orientate solo al profitto, ma, guidate da veri imprenditori seri che realizzino vere e proprie “politiche sociali”. Esistono oggi 18000 imprese sociali e ogni giorno se ne creano di nuove. E’ questo, per il relatore, il vero incubatore di attività imprenditoriali che, tra le altre cose, possono essere sostenute dal credito bancario: il mercato infatti è ampio, in settori non coperti dallo Stato (si pensi alla distribuzione del cibo a fasce deboli o alla cooperazione internazionale) e in questi mercati si può portare un messaggio di reciprocità, che è la vera forza del Terzo Settore. Per fare questo è indispensabile, però, che la gestione di quello che era il mondo della “Cooperazione sociale” si trasformi attraverso la competenza e professionalità, anche digitale, degli amministratori
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Molto spesso i lavoratori e lavoratrici emarginati nelle aziende, lo sono perché accusati di incompetenza e incapacità. A costoro è possibile proporre proprio quanto sopra detto, cioè una riqualificazione che è possibile fare anche “da soli” senza aspettare l’intervento delle aziende. A coloro che invece possiedono queste competenze digitali è sufficiente ricordare che esistono prospettive di lavoro anche al di fuori dell’azienda in cui lavorano, sbloccando così il circolo che li aveva portati a subire mobbing per svariate ragioni. Un discorso a parte merita la citazione, del tutto positiva del Terzo Settore. Risorsa appartiene, dalla sua nascita, nel 2000, al settore della “tutela dei diritti civili e della solidarietà sociale”. Dal 2005 è iscritta nel Registro regionale del Volontariato che le darà accesso, di diritto, al RUNTS (Registro unico nazionale del terzo settore) che sarà istituito dopo l’entrata in vigore del DLgs. N. 117 del 3 luglio 2017, recante: “Codice del Terzo Settore” (CTS). Purtroppo Risorsa potrà subirne un impatto negativo proprio a causa dell’ingresso in questo settore delle Cooperative sociali (le quali, nonostante la loro denominazione statutaria, non sono oggi, in effetti, molto tenere nei confronti dei loro dipendenti, che a noi si rivolgono sempre più numerosi ). Grazie alla loro dimensione, spesso medio-grande, saranno destinati alle Cooperative i fondi provenienti dalle Fondazioni ex-bancarie, che verranno così distolti dalle Organizzazioni di Volontariato di minori dimensioni. Inoltre le pratiche burocratiche per gli adempimenti richiesti per l’ingresso nel CTS (come un nuovo Statuto) hanno distolto, nel 2020, alcuni Volontari di Risorsa dallo scopo primario che si prefiggevano come “mission” associativa. L’aspetto positivo sta nel fatto che anche per Risorsa sarà necessario un adeguamento “manageriale” delle sue attività, basate sinora sulla “buona volontà” dei singoli appartenenti al suo Consiglio Direttivo, dei soci sostenitori e dei Volontari.