RAZZISMO SUL LUOGO DI LAVORO: COME TUTELARSI ?
La provenienza geografica, nel periodo della globalizzazione, può essere un motivo di mobbing. L’articolo mette in evidenza non solo la casistica, ma anche una sentenza del Tribunale di Milano. In questo caso, più che in altre occasioni, omettiamo, per ovvie ragioni, il settore lavorativo delle vittime
Fonte: “La legge per tutti.it” – articolo del 12 febbraio 2020
Sintesi a cura di Michela Spirito – Volontaria Risorsa
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All’interno del luogo di lavoro sono tanti i casi di emarginazione per la sola provenienza geografica della persona. Gli atti razzisti possono rientrare all’interno della casistica del mobbing in quanto quest’ultimo si può palesare attraverso condotte vessatorie, reiterate e durature rivolte dai colleghi nei confronti di un lavoratore (mobbing orizzontale). L’obiettivo è quello di sfinire e sminuire la persona psicologicamente e socialmente attraverso comportamenti ostili e persecutori che incutono terrore, emarginazione e alienazione. La vittima, a prescindere che vi siano ragioni razziali o meno, può denunciare al proprio datore di lavoro gli atti subiti ed eventualmente l’azienda se il datore a conoscenza dei fatti non si è attivato per tutelare l’integrità fisica e psichica dei suoi dipendenti.
Un importante sentenza del Tribunale di Milano (Sent. del 24 gennaio 2020, n. 2836) ha dato luce e chiarezza in materia di tutela dagli episodi di razzismo sul luogo di lavoro: i giudici, infatti, confermano che il datore di lavoro deve sempre adottare misure volte a tutelare i suoi dipendenti da trattamenti degradanti, umilianti, soprusi e discriminazioni. La vicenda ha riguardato dei lavoratori di origine africana umiliati e derisi per la loro provenienza dai colleghi e dal capo . I giudici richiamano più fonti legislative al riguardo: il decreto legislativo in materia di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla loro razza e origine etnica; la normativa apposita sulla tutela giudiziaria dei diritti delle vittime di razzismo sul luogo di lavoro che permette di presentare ricorso al tribunale dimostrando di aver subito un comportamento discriminatorio. Tale ricorso, se accolto dal giudice, può portare al risarcimento del danno e all’ordine della cessazione del comportamento o atto discriminatorio e di attuare un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Infine, anche la società a cui appartenevano i lavoratori è stata ritenuta responsabile civilmente, nonostante si dichiarasse estranea ai fatti, perché ha omesso di controllare e impedire che si verificassero tali vicende.
Volontaria dell’Associazione Risorsa
Michela Spirito