STALKING SUL LAVORO: QUANDO
La nostra Volontaria Erika Porzio ci trasmette la sintesi di un interessante articolo sullo stalking nel posto di lavoro, correlato alle classiche tipologie di mobbing e ne coglie sia gli aspetti legali che psicologici. Per chi volesse leggere l’articolo completo, abbiamo messo il link alla fonte citata.
Fonte: “La legge per tutti” – Novembre 2020 – autore: Paolo Remer.
Lo stalking può configurarsi anche in ambito lavorativo e la Cassazione stabilisce che le vessazioni compiute su un lavoratore possano essere punite a titolo di stalking se si verificano particolari eventi in danno della vittima.
Il reato di atti persecutori, comunemente detto stalking deriva dal verbo inglese “to stalk” (braccare, perseguitare, disturbare); esso è previsto dal Codice penale e si manifesta quando una persona, il cosiddetto stalker compie atti persecutori come minacce o molestie ripetute, che generano nella vittima almeno una di queste 3 conseguenze:
1)un perdurante e grave stato di ansia o di paura,
2) le provocano un fondato timore per la sua incolumità (o per quella di un prossimo congiunto o di una persona legata da una relazione affettiva)
3) la costringono a modificare le proprie abitudini di vita.
La pena prevista per lo stalking è la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi, ma è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge (anche separato o divorziato), o da persona che ha o ha avuto una relazione affettiva con la vittima, o se il reato è commesso con strumenti informatici o telematici (come, ad esempio, WhatsApp o Facebook). Inoltre, la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza, di un disabile, oppure con armi o da persona travisata.
Il reato è perseguibile a querela, che dovrà essere sporta entro 6 mesi da quando sono accaduti i fatti, ma diventa procedibile d’ufficio quando è connesso con un altro delitto, come i maltrattamenti in famiglia o le lesioni gravi, o quando è commesso in danno di un minore o di una persona affetta da disabilità. Le denunce o querele per stalking vengono trattate d’urgenza se rientrano nei casi previsti dal Codice rosso per la tutela dell’incolumità delle vittime di violenza.
L’ambito di applicazione dello stalking non riguarda soltanto le relazioni familiari o affettive ma anche qualsiasi altro ambiente in cui possano instaurarsi rapporti di ogni genere tra l’agente e la vittima; è possibile, ad esempio, avere anche casi di stalking in condominio, tra vicini di casa oppure tra proprietari e inquilini. Anche sul luogo di lavoro si possono verificare episodi di stalking, che viene chiamato “stalking occupazionale” e spesso è coinvolta una donna: il reato potrà compiersi in un’azienda o fabbrica, in un negozio, in un ufficio o studio professionale. In questo caso gli atti persecutori vengono compiuti a causa del rapporto di lavoro e vanno inevitabilmente a intaccare la vita privata della vittima.
L’autore delle reiterate minacce o molestie potrà essere il datore di lavoro ma talvolta anche qualche collega, mosso dalle più varie ragioni (rivalità, invidia, acredine, astio, ecc.) per esasperare la vittima. Le condotte possono essere svariate, come ad esempio messaggi continui o telefonate ripetute senza un vero motivo, presenza assillante e ossessionante, avances reiterate ed insistenti o vere e proprie molestie sessuali, dispetti, contestazioni pretestuose e infondate, diffusione di voci calunniose o denigratorie.
Tutto ciò può avvenire sia sul luogo di lavoro sia all’esterno; l’essenziale è che questi comportamenti dello stalker provochino nella vittima uno dei tre eventi che abbiamo descritto, cioè un grave stato di ansia o paura, il timore per la propria incolumità o per quella delle persone care o la costrizione ad alterare le abitudini di vita.
Lo stalking sul lavoro trae origine dal rapporto di dipendenza o di collaborazione e si distingue dal mobbing perché non si esaurisce sul luogo di lavoro ma produce effetti e ripercussioni anche e soprattutto sulla vita privata della vittima. Nello stalking le condotte delittuose vengono riguardate proprio con riferimento a queste gravi conseguenze.
Il mobbing è quindi una figura più vasta, che coinvolge un’ampia serie di comportamenti ostili e persecutori, che non sempre danno vita ad un reato autonomo ma nei casi più gravi possono sfociare nello stalking e in questi casi le condotte sono punite penalmente.
In un recentissimo caso, ad esempio, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per stalking a carico di un datore di lavoro che si era accanito contro una dipendente, vessandola continuamente e arrivando infine a licenziarla. Questa sentenza ci permette di discriminare tra mobbing e stalking perché spiega che le condotte di mobbing possono integrare il reato di atti persecutori quando c’è una «mirata reiterazione di pluralità di atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro», in modo da causare un grave stato d’ansia o paura o la costrizione a modificare le abitudini di vita, così ledendo la libertà di autodeterminazione della persona offesa. La Suprema Corte evidenzia che il reato di stalking è a condotta abituale (è necessaria la reiterazione delle condotte di minaccia o violenza, non basta un episodio isolato) ed occorre l’evento di danno – consistente in uno dei tre fenomeni alternativi – causato dalle condotte illecite attuate dallo stalker. Il «nucleo essenziale» della fattispecie delittuosa, secondo la Suprema Corte, è costituito dallo «stato di prostrazione psicologica» della vittima di questi ripetuti atti persecutori.