STORIE DI ORDINARIO MOBBING
STORIE DI ORDINARIO MOBBING AL GRUPPO DI MUTUO AIUTO
Cronaca di una serata in uno dei due servizi offerti da Risorsa
Eravamo in 15, l’altra sera, al gruppo di mutuo aiuto di Risorsa: davvero un bel numero!. Solo per un cavillo burocratico non ci possiamo chiamare “gruppo di auto-mutuo aiuto” come gli altri gruppi di questo genere. Infatti, 10 anni fa, quando l’Associazione fu iscritta come onlus di diritto nel Registro del Volontariato, ci dissero che quella parolina “auto” non era applicabile a chi, come noi, offre servizi volontari anche ai non soci, mentre lo era a chi offre servizi solo ai propri soci come le APS, le associazioni di promozione sociale. Ma, anche senza la strampalata giustificazione, esistiamo da allora ed è per me un vero “miracolo”, tenuto conto delle scarse “risorse economiche” di Risorsa (scusate il bisticcio di parole !).
Dunque dicevo che eravamo in 15: i volontari dell’Associazione, gli “utenti del servizio” – bruttissima parola che devo obbligatoriamente usare nei progetti in cui chiedo finanziamenti- per identificare chi ha bisogno di essere aiutato dal gruppo, e la “facilitatrice”, anch’essa volontaria.
I volontari : hanno diversi ruoli. C’è Franco, l’ideatore e organizzatore del gruppo, che annota tutti i nomi, i telefoni, le e-mail dei partecipanti e, dopo la riunione, fino a notte fonda, li riporta sul suo database: così il giorno li chiama per sapere come è andata ! Lui ha anche un’altra definizione per il gruppo: lo chiama “la casa comune”, proprio per sottolineare, come molti partecipanti hanno detto, che nel gruppo ci si sente a casa. Propria. Ci sono Luisa e Sergio che danno i primi consigli a chi poi vorrà usufruire dell’altro nostro servizio, lo Sportello d’ascolto e orientamento; la loro “specialità” è di insegnare come gestire il mobbing, cioè come comportarsi il giorno dopo che si sono subiti gli attacchi e le violenze psico-fisiche del mobbing. E’ una cosa che non fanno i Sindacati, che vorrebbero fare solo vertenze; una cosa che non fanno gli avvocati, sempre in difficoltà nel trovare elementi probatori in assenza di una vera e propria legge a tutela dei mobbizzati.; che non fanno i medici, per molti dei quali mobbing è una parola sconosciuta. Ma c’è anche Franca che, con la sua “verve” aiuta i partecipanti a sdrammatizzare la loro situazione, a sorriderne e, magari, a sgridarli (come ha fatto anche con me, quando ne avevo bisogn: lei è sempre presente alle riunioni, d’estate e d’inverno, intabarrata nel suo abbigliamento “inusuale” (come lei stessa dice). Questa sua costanza e competenza le è valsa l’ingresso nel nostro Consiglio Direttivo. Poi, ci sono io che, come Tesoriere, mi faccio vivo quando c’è da pagare l’affitto delle sale di via Dego e, magari, scrivo queste cose…
Gli utenti. Le storie che raccontano e per le quali richiedono aiuto, sono sempre di 2 tipi: il primo è il cosiddetto “mobbing verticale”, presente quando vi è una precisa strategia della direzione e dei capi nell’indurre alle dimissioni i dipendenti in esubero o, semplicemente antipatici (e non raccomandati !). Il secondo è il “mobbing orizzontale”, quello dei colleghi, da cui deriva la parola inglese, definito dagli etologi come il comportamento del branco animale che tende a emarginare i soggetti deboli vecchi o malati. Alcuni, dal confronto con il gruppo, trovano da soli (tecnicamente self help) le soluzioni che spesso sono quelle di cercare altrove le soddisfazioni che non hanno sul lavoro; altri continuano a mantenere sentimenti di rabbia, di inadeguatezza, di mancanza di autostima.
La facilitatrice. Per fortuna di tutti, dove non arriva il gruppo, è lei che interviene con la sua competenza professionale di counselor, dicendo la parolina giusta al momento giusto senza essere invasiva. Così facendo, suscita quella reazione che viene dal profondo e che libera da ansia e frustrazione (gli psicologi la definiscono ab-reazione catartica). E, alla fine, rispettando rigorosamente i tempi della riunione, stringe il cerchio – non quello magico dei politici, ma quello dove siedono i partecipanti e chiede loro quale parola detta nella serata li abbia più colpiti e allora tutti se ne vanno sentendosi più sollevati.
Ma l’altra sera, dopo le storie di ordinario mobbing, è successa una cosa straordinaria. Una “new entry” – così vengono definiti quelli che vengono per la prima volta al gruppo e poi rimangono per anni o se ne vanno subito: anche questa è una particolarità del nostro gruppo variabile e non stabile – si avvicina ad un’altra new entry, che aveva raccontato una storia un po’ diversa dalle solite e nella quale non mi addentro per motivi di doverosa riservatezza. Le chiede indirizzo e numero di telefono per potersi recare da lei ed aiutarla nei suoi problemi . Allo stupore di quest’ultima, risponde che il suo più grosso desiderio è quello di aiutare gli altri, come si fa in tutti i tipi di volontariato. E allora mi chiedo: cosa sarebbe l’Italia senza i volontari ?
Ferdinando Ciccopiedi