La nostra storia con don “Berna”
L’associazione La goccia di Lube ha un inesorabile legame con don Bernardino Reinero, don “Berna” per gli amici. Non solo perché le iniziali “Be” del suo nome sono nel nostro nome “Lube” ma perché questo uomo – di cui il 17 novembre 2024 è stato ricordato il 27/esimo anniversario dalla morte, avvenuta a soli 56 anni – è stato un amico fondamentale per i fondatori della nostra organizzazione di volontariato. Voglio perciò segnalare a tutti i volontari della odv chi fosse questo uomo che tanto ha significato per Marcella (nostra attuale presidente onoraria) e suo marito Walter, mancato il 21 novembre del 2012. Lo faccio trascrivendo una pagina (300-301) del mio libro “Come orizzonte, tutto – Storia di don Berna e dei suoi amici” pubblicato nel 2001 per Effatà editrice.

Il racconto è focalizzato, in quelle pagine, sugli anni in cui don “Berna” era parroco nella chiesa di Santa Giulia, a Torino:
(…) Don “Berna” insegnò a Claudio il segreto dell’amicizia. “Gli amici” gli spiegò, “devono essere migliori di te, servono per aiutarti a camminare verso Dio”. E lui, gli amici, li sceglieva, eccom! Gli unici momenti di riposo li strappava a forza dai serrati ritmi della parrocchia tra il pomeriggio della domenica e la prima parte del lunedì. Era una consuetudine che si era ritagliato sin dai tempi in cui abitava nel pensionato universitario, quando si ritirava a casa di Marcella e Walter nella loro casa in piena campagna tra le colline di Moncalieri e Chieri. Divenuto parroco ebbe ancora più bisogno di quel riposo, a compensazione di lunghe e faticose settimane.
Arrivava da loro la domenica sera, prima di cena. Si slacciava le scarpe e gli venivano portate le sue pantofole. Seduto sul divano, sovente si abbandonava fino ad addormentarsi, nel momento in cui la tensione abbassa finalmente la guardia. Era una cosa davvero abituale quel pisolino prima di mettere le gambe sotto il tavolo. Quante volte Marcella gli aveva fatto trovare il risotto con le quaglie, che lui letteralmente adorava. Stava in quella casa per neanche ventiquattro ore, ma godeva fino in fondo della bellezza della vita familiare. E quella di Marcella e Walter era una famiglia tutta particolare, capaci com’erano di accogliere tanti ragazzi in difficoltà e di trattarli con quell’amore alla persona che imparavano nel movimento di Comunione e Liberazione. Berna godeva nel guardarli. Gli piaceva vedere che Marcella dopo solenni sgridate sapesse recuperare immediatamente il rapporto con i bambini.
Anche don “Berna”, comunque, tentava di fare la sua parte là dentro, con naturalezza, non con il senso di chi ha il timore di aver arrecato disturbo con la sua presenza. E allora amava far compagnia ai figli: si faceva raccontare la loro vita e si divertiva con loro a guardare le videocassette con i cartoni animati e si coinvolgeva nel gioco. La sua era una presenza discreta, che non alterava i ritmi della giornata di quella famiglia, ma vi si insinuava senza dar peso. Il lunedì mattina, invece, poteva dedicarsi a sé stesso: caffè, le lodi recitate sul divano, la passeggiata nel parco, le letture, e poi andava sovente a prendere qualche figlio della coppia a scuola, come potrebbe fare un buon nonno!

Il ritorno in parrocchia avveniva verso le 16, per prepararsi alle funzioni serali. Walter notava il cambiamento del suo amico: da quando era entrato in parrocchia si era dilatata in lui la coscienza del compito definitivo di portare Cristo a tutti, proprio a tutti, come gli aveva indicato l’arcivescovo al suo ingresso ufficiale da parroco. E per rispondere a questo compito aveva dato tutto sé stesso: “Io voglio parlare di Cristo” diceva a Walter “voglio parlare dell’umanità di Cristo”. (…)
Adriano Moraglio