I NUOVI DISAGI E…I LAVORI DEL CAVOLO
Mercato globale, concorrenza (talvolta sleale), scenari di automazione robotica ed economia digitale, confusione politica riguardo a strategie industriali sono fattori che rendono evidenti le difficoltà dei lavoratori, non solo di quelli con occupazioni umili, usuranti e sottopagate, ma anche dei giovani che non trovano un lavoro adatto ai loro studi superiori e alle loro aspettative e, inaspettatamente, anche di colletti bianchi, manager e professionisti, tanto che ci si può chiedere: “Il mio lavoro ha senso?”.
Questa domanda, che era alla base di un articolo dell’antropologo americano David Graeber, viene approfondita nel suo volume: Bullshit jobs (traducibile, in maniera edulcorata, come: “lavori del cavolo”), edito da Garzanti. La tesi sostenuta ed avvalorata da un sondaggio dell’istituto di statistiche YouGov, è che il lavoro viene percepito dal 37% degli inglesi come non utile per lo sviluppo della società civile. L’analisi parte allora dal settore terziario, dove i lavori ruotano intorno a diversi ruoli “neo-feudali”: c’è quello del capo assoluto, il supervisore che controlla il lavoro degli altri, ma non lavora; ci sono i tirapiedi che servono a far sentire importante il capo con servigi spesso inutili; ci sono i “ricucitori”, che servono a risolvere i problemi; ci sono gli sgherri (come quelli di don Rodrigo) e infine i passacarte, creati per giustificare reparti non produttivi e attenzione – dice l’antropologo – si considerano passacarte anche medici e insegnanti, soffocati dalla burocrazia prodotta anche dalle nuove tecnologie informatiche. In questo contesto cresce addirittura un doppio “odio di classe”: da un lato gli oppressi che odiano gli oppressori, dall’altro chi sta sopra ed è depresso perché percepisce il suo lavoro come inutile rispetto a quello di chi sta sotto e per questo lo odia o, perlomeno, lo invidia. In entrambi i casi vi è un rancore diffuso che crea frustrazione nei luoghi di lavoro. Sono concetti ripresi anche in alcuni film, come ad esempio il “Fight Club” dove un capo sfoga la sua frustrazione creando un club dove colletti bianchi stressati si picchiano a sangue !. Per tornare a Graeber, egli sostiene che la lotta di classe marxista (operaio – capitalista) ha subito una regressione verso una dialettica materialista feudale (servo-padrone) che può sfociare in una relazione sadica simile alle pratiche di dominazione/sottomissione sessuale, ma non solo, perché anche la politica si è appropriata del rapporto servo-padrone, dove chi non si adegua alle idee del capo, viene marginalizzato.
Fonte: elaborazione della redazione Risorsa da un articolo di Luca Mastrantonio – 7 Corriere della Sera del 20/9/18