IL LAVORO CHE CI SALVERA’ – ABSTRACT
Da questo testo di Marco Bentivogli – edizioni San Paolo 2021 al link estraiamo alcune parti che ci sembrano significative e molto legate ai temi di cui di occupa Risorsa e sui quali facciamo alcune considerazioni
La prima riguarda un “Quaderno dell’economia civile n.5” di Stefano Zamagni – Aiccon Bologna. La sintesi della riflessione dell’autore parte da una domanda: Come è possibile realizzare le condizioni affinchè il lavoro non consenta solo di acquistare beni materiali ma anche di soddisfare la libertà del lavoro in cui il lavoratore si realizzi come persona ? Le democrazie liberali, grazie alle lotte del movimento operaio e sindacale, hanno realizzato le condizioni per la liberà nel lavoro, ma non quelle per la libertà del lavoro. Questa sottile distinzione significa che si sono create nuove condizioni di lavoro tutelato (quando non effimero e precario), ma non è stata riprogettata la via di una società post-industriale che lasci alle macchine le mansioni ripetitive e liberi il tempo per allargare spazi di libertà dei cittadini.
Partendo da questa considerazione Bentivogli descrive il nuovo mercato del lavoro come un “oceano di incertezze” mutuando l’espressione da Edgar Morin, filosofo francese: guarda caso nelle varie forme di comunicazione di Risorsa compare l’immagine di un mare in tempesta con un salvagente cui aggrapparsi ! In tale scenario, sempre citando Morin, è necessario che i lavoratori trovino diversi “arcipelaghi di certezze” dopo aver navigato in mare aperto, sfruttato il vento e resistito a tempeste improvvise. Ma, per Bentivogli, sono le aziende che devono garantire queste certezze curando competenze, abilità e mentalità. Solo così i lavoratori saranno messi in condizione di reagire velocemente a nuovi paradigmi organizzativi e strutture flessibili deburocratizzate, laddove esistono ancora organigrammi rigidi, relazioni sindacali, burocrazia pubblica. E’ questa la competenza emergente delle leadership aziendali per aiutare nel passaggio da un gruppo di lavoro ad un altro, da un progetto al successivo in una complessità crescente di problemi, ristrutturando spontaneamente le proprie conoscenze. Questo è ciò che Rand Spiro, professore di psicologia e tecnologia educazionale, spiega nel saggio: Cognitive flexibility theory, elencando alcune attitudini come la immediata costruzione di legami di fiducia nei gruppi di lavoro, sia in presenza che da remoto, la capacità di lavorare su diversi progetti con altri gruppi. Si eviteranno così sovrapposizioni di compiti e dispersioni, prestando attenzione alle priorità e alle emergenze, filtrando e aggiungendo valore alla quantità di informazioni ricevute. Il singolo, nei gruppi, diventa interdisciplinare e acquisisce le capacità digitali nell’utilizzo dei nuovi media. L’emarginazione degli individui, che Risorsa percepisce in chi subisce mobbing è proprio il contrario di quanto occorrerebbe secondo le teorie di Spiro…
Ma è ora di parlare di sindacato. Forte della sua esperienza sindacale, Bentivogli così titola un capitolo del saggio: “Il sindacato di cui abbiamo bisogno”. I sindacati, in quanto corpi intermedi (tra Stato e Mercato), non sono morti o fatalisti come rappresentanti del lavoro organizzato, ma dovrebbero avere capacità “profetica” (il futuro è conseguenza del presente) comprendendo che la competenza è l’elemento vincente dei lavoratori nel mercato del lavoro. Dovrebbero quindi ridurre gli interventi di protezione in ingresso e in uscita dal lavoro e concentrarsi nella promozione delle competenze dei lavoratori. Con un’immagine tratta dal mondo finanziario, l’autore conclude che il sindacato deve evolvere dal ruolo di mediatore del conto economico del lavoro (flusso) a quello di responsabile dello sviluppo patrimoniale delle competenze (stock). Un nuovo spirito “di frontiera” potrà contribuire alla progettazione sociale, economica, industriale e, in definitiva, civica a favore soprattutto dei giovani. Il sindacato si dimostrerà così esente dal ricatto del breve termine, che caratterizza la politica in cerca di consenso. Accanto al sindacato occorrono, ovviamente, degli imprenditori che abbiano a cuore il lavoro dei loro stessi figli e siano convinti che il benessere dei lavoratori ha bisogno di un periodo di tempo lungo per essere innovativo. Essi dovranno costruire delle relazioni tra tutti quelli che cooperano al bene delle aziende ed in primis proprio i lavoratori, per far fronte insieme alle crisi economiche e sociali: il capitale umano diventa capitale “spirituale” e concorre a quella felicità che fa dell’individuo una Persona. Per ora, purtroppo, noi di Risorsa non vediamo né da una parte né dall’altra queste visioni virtuose…
In un altro passaggio: “Persone, relazioni e umanesimo industriale” l’autore fa una distinzione fra i diversi tipi di “cura nel lavoro” rivolti agli imprenditori.
Il primo tipo è definito come la cura per l’altro e comprende alcuni suggerimenti:
-dedicare attenzione non occasionale alle persone
– osservare lo stato d’animo, la condizione del lavoratore, i tempi e possibilmente soddisfare i suoi bisogni
– ascoltare il lavoratore ed esserci anche in silenzio, tranquillizzare e incoraggiare
– avere rispetto per la dignità del lavoratore e aiutarlo a mantenere il suo modo di vivere
– evitare imposizioni
Il secondo tipo è detto “cura del contesto” e riguarda:
– azioni sul contesto relazionale dei familiari del lavoratore (es. congedi parentali)
– azioni sul contesto organizzativo per adattarlo ai bisogni del lavoratore, anche come ambiente di lavoro
– azioni sul contesto relazionale del lavoratore con il personale medico (medico competente) e consulenti
Il terzo tipo viene definito come “riflessioni sul non visibile” in cui l’imprenditore dovrebbe:
- valutare l proprio agire
- ascoltare e gestire le proprie emozioni
L’autore si rende conto che qualcuno le definirebbe tutte “utopie” e, anche all’interno di Risorsa esistono 2 scuole di pensiero. Alcuni volontari gli danno ragione, sulla base dell’esperienza quotidiana dell’ascolto di persone verso le quali i comportamenti dei capi (e anche di colleghi) sono l’esatto contrario dei 3 tipi di cura individuati. Altri concordano con Bentivogli e con pochi altri suoi sostenitori (come lui stesso ammette) nel dire che la cura nel lavoro deve essere un progetto politico di democrazia. Il lavoro deve essere ripensato insieme alla cura e non è staccato da famiglia e Stato (i 2 soggetti che oggi si occupano di “cura”) in modo che la società post-moderna e frammentata trovi nuovi legami sociali e intrecci nelle relazioni
Nell’ultimo capitolo, c’è un paragrafo che può apparire drammatico e si chiama: “la fine del lavoro”. Si basa sulle conclusioni di uno studio del World Economic Forum, secondo cui il 65% dei bambini che frequentano le elementari farà tra 10/15 anni un lavoro che oggi non esiste. A supporto, lo studio cita il caso degli smart phone che hanno creato nuova occupazione e modelli economici nuovi (app o piattaforme web). Ma questi cambiamenti generano incertezze e paure e c’è chi pensa che la rivoluzione tecnologica, con i suoi robot e intelligenza artificiale, cancellerà milioni di posti di lavoro e l’umanità si dividerà tra una piccola parte di individui che lavorano mentre il resto vivrà di sussidi (almeno nei Paesi sviluppati). Contro le previsioni negative di diversi Istituti di ricerca, che sono molto dissimili in argomento perché è impossibile fare previsioni sulla base di informazioni conosciute oggi ma non nel futuro, l’autore ribadisce, sulla base di esperienze personali che il lavoro è stato mantenuto, in Italia, grazie a massicci investimenti in tecnologia, innovazione, organizzazione del lavoro e piani di formazione. Risorsa, non potendo intervenire sugli altri fattori, si limita a dire che l’organizzazione del lavoro dovrebbe comprendere alcuni dei suoi valori e della sua vision: la solidarietà sociale, l’aiuto concreto ai lavoratori (soprattutto il sostegno di carattere medico/psicologico) e il coinvolgimento di aziende ed Enti socialmente responsabili.