IL MOBBING E LE SUE FASI: COMPORTAMENTI E RESPONSABILITA’
Questo articolo, selezionato dal Consigliere di Risorsa Salvatore Tonti, e già comparso sulla nostra pagina FB, merita di essere portato all’attenzione dei consultatori del nostro sito, punto di partenza per risorse informative utili a quanti subiscono o sono semplicemente interessati al mobbing. La nostra Volontaria Erika Porzio ne ha fatto 2 brevi sintesi, focalizzandosi, in questa prima parte, sulle diverse “fasi” del mobbing, precedute dalla “condizione zero” che, spesso non sono ben chiare a tutti, nella seconda su importanti sentenze, passate e recenti in tema di mobbing. Citiamo naturalmente fonte e autore, mentre l’articolo completo è invece a questo link
Fonte: “Diritto.it” – dicembre 2020 – autrice: Alessia Mirabile.
La condizione Zero
Non si tratta di una vera e propria fase, bensì di una pre-fase considerata solo in Italia e del tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea. Essa ha ad oggetto un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e si manifesta con banali diverbi d’opinione, discussioni, piccole accuse, ripicche, e con il tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri.
Tale conflittualità si considera fisiologica e pertanto non è ancora configurabile come mobbing. Difatti, nella “condizione zero” non c’è da nessuna parte la volontà di distruggere ma c’è solo la volontà di elevarsi sugli altri.
Fase I: il conflitto mirato
In questa prima fase il mobber individua una vittima verso la quale dirigere la conflittualità generale. L’obbiettivo di emergere e prevaricare sugli altri viene sostituito da quello di distruggere l’avversario Individuato.
Inoltre, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro ma sfocia anche sul versante privato.
Fase II: l’inizio del mobbing
Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psicosomatico sulla vittima, ma le suscitano un forte senso di disagio e fastidio. Inizia ad esserci la percezione di un inasprimento delle relazioni con i colleghi.
Fase III: primi sintomi psicosomatici
La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e tale condizione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere dell’insonnia e problemi digestivi.
Fase IV: errori ed abusi dell’amministrazione del personale
Il caso di mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del personale, il quale non conoscendo tale fenomeno e le sue caratteriste, dinanzi alle frequenti assenze della vittima, prende dei provvedimenti il più delle volte inadatti e dannosi per la stessa.
Fase V: serio aggravamento della salute psicofisica della vittima
In questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera e propria disperazione.
Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto palliativo, in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. La vittima finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie.
Fase VI: esclusione dal mondo del lavoro
Implica l’esito ultimo del mobbing, ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali: il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l’omicidio o la vendetta sul mobber. Affinché sussista il mobbing non è sufficiente un singolo atto ma è necessaria una pluralità di azioni susseguenti tra di loro.
Per quanto riguarda, invece, l’artefice di questo iter comportamentale lesivo nei confronti del lavoratore preso di mira, si può far riferimento al datore di lavoro (o comunque un superiore), e in tal caso si parlerà di “bossing” (o “mobbing verticale”), oppure a uno o più lavoratori che agiscono in tal modo nei confronti di un loro collega ritenuto come un soggetto da emarginare per i più svariati motivi, e in questo caso il fenomeno viene anche definito “mobbing orizzontale”.