Storie dell’Impresa Accogliente /3. Claudia, l’importanza di essere accompagnati
Ho sempre avuto la volontà di rimettermi in carreggiata perché, avendo una famiglia, non vuoi deludere chi ti circonda. Ma da sola non avrei potuto farcela in una situazione del genere. Claudia, nome di fantasia – che il 4 febbraio 2025 comincia un nuovo tirocinio con il Progetto Impresa Accogliente presso la cooperativa Frassati – ha raccontato la sua storia a Radio 24, alla giornalista Cristina Carpinelli. (nella foto).

Qui pubblichiamo l’intervista integrale, con frasi e ragionamenti che non sono stati inseriti nella bella trasmissione della radio del Sole 24 Ore, dal titolo “Si può fare – Storie dal sociale”. Quella di Claudia è una delle storie del Progetto Impresa Accogliente. Qui sotto è possibile ascoltare la trasmissione.
Le parole di Claudia nell’intervista integrale sono da ascoltare attentamente una a una, per capire e far capire che cosa voglia dire vivere la propria condanna penale nella forma di una misura alternativa, il lavoro fuori e il dormire in carcere. Buona misura, ma quante difficoltà sul cammino per chi vuole riscattarsi come Claudia! E come tanti altri detenuti. Tante difficoltà che rimandano all’importanza di volti amici che ti sorreggono, che ti infondono fiducia. Claudia racconta nell’intervista l’importanza dell’essere stata accompagnata con fedeltà dai volontari de La goccia di Luce. Sentiamo quello dice:
Quando ti presenti a un colloquio di lavoro da sola, esponendo la tua situazione, molte aziende si rifiutano di darti un posto di lavoro, perché dietro ci sono meccanismi non semplici da seguire. Anche una semplice assenza dal lavoro va comunicata, bisogna chiedere permessi per entrare più tardi o uscire prima. In tutto questo, se non si è seguiti da questa rete di persone veramente molto molto pazienti è tutto più complicato. E’ importantissimo. Io ho avuto la fortuna di aver incontrato questi volontari con cui sono veramente entrata in sintonia e questo ha fatto sì che la collaborazione fosse molto più semplice. L’essere capiti da loro è veramente una cosa fondamentale, è proprio il modo che hanno di accogliere le persone nella mia situazione che è importantissimo. Se sai che le porte facilmente ti si chiudono in faccia quando esponi la tua situazione da detenuto, non per tutti c’è sempre quella cosa di dire io vado avanti. Magari c’è la persona che si scoraggia un attimo di più e quindi si diventa demotivati e si dice faccio il mio percorso così e basta e poi passano gli anni e una volta finita la situazione di detenzione diventa tutto più difficile, perché è già difficile così approcciarsi al mondo del lavoro, in una situazione come le nostre è ancora peggio perché comunque sono poche le aziende oggi disposte a dare una mano a persone con queste situazioni. Se non si è spalleggiati, accompagnati da associazioni di volontari, diventa tutto molto difficile. In primis, ci si mettono loro, con la loro faccia, con la loro associazione, a portare le persone come me e come tanti altri ai colloqui. È vero che sta tutto nelle nostre mani: metterci impegno, la volontà di lavorare e inserirsi tra le persone. Però fa tanto anche pensare che posso telefonare e rivolgermi al mio volontario di riferimento per raccontargli dubbi, problemi, cercare consigli e cercare come fare a risolverli. E’ una buona base, ci si sente sempre appoggiati.
Claudia ha ripercorso, con le domande di Cristina Carpinelli, la sua storia.
Nel 2017 la corte emette la sentenza finale e inizio a scontare la mia pena in carcere. Dopo cinque mesi di vita carceraria, vengo sottoposta ai domiciliari per potermi occupare dei miei bambini, essendo l’unico genitore presente nel nucleo familiare e avendo una bimba di 6 anni. Quindi, vengo mandata a casa a scontare la pena e, per impiegare il tempo, inizio a fare volontariato. Sono andata avanti così per circa quattro anni, finché la bimba non ha compiuto 10 anni. Al compimento dei suoi 10 anni, il regime di detenzione avrebbe potuto nuovamente cambiare, ma fortunatamente non sono rientrata in carcere e, avendo già scontato buona parte della pena, ho potuto ottenere l’affidamento con l’articolo 21.
In questi quattro anni di domiciliari, avevo iniziato a fare dei tirocini: l’UIEPE, l’Ufficio esecuzione penale esterna che tratta la sua misura alternativa al carcere, ndr) mi aveva messa in contatto con l’associazione La goccia di Lube. Lì ho trovato dei volontari veramente molto affidabili. Siamo entrati in sintonia e abbiamo lavorato tanto affinché io potessi trovare la mia prima occupazione. Come tirocinante, sono stata seguita davvero tantissimo da loro, in particolare da una di loro, che mi segue ancora oggi. È sempre stata un po’ la mia ancora di salvezza nelle situazioni in cui il tirocinio finiva e mi ritrovavo punto a capo. Ho continuato a scontare la mia pena con l’articolo 21, svolgendo tirocini fino a un anno e mezzo fa. Poi, sempre grazie a questi volontari, sono riuscita a entrare come tirocinante in un’azienda di produzione alimentare.
Alla fine di questo contratto di tirocinio, l’azienda non ha potuto rinnovarlo perché la domanda di lavoro era calata, e così mi sono ritrovata di nuovo nelle mani di questa associazione di volontari, che si sono subito attivati per trovarmi un’altra occupazione e aiutarmi a non perdere la detenzione in articolo 21.
Claudia pensa al suo futuro e alla sua volontà di fare qualcosa di particolare quando avrà finito di scontare la sua pena:
C’è una cosa che mi piacerebbe fare una volta scontata la mia pena: poter fare qualcosa per le persone che si trovano nella stessa situazione in cui mi sono trovata io anni fa. Quando devi azzerare tutto ciò che era la tua vita e ripartire da zero. Vorrei soprattutto aiutare le mamme con bambini che hanno veramente la voglia di riprendere in mano la loro vita per ricostruire la loro famiglia.