Sacrificio e letizia, La goccia di Lube ricorda Lucia Mina
Nel suo recente libro dedicato coraggiosamente al tema della morte Luciano Violante ricorda così la madre negli ultimi suoi giorni di vita: “Alcune volte, interrompendo il deliquio dell’agonia, aggiungeva quasi sorridendo ‘Ma io ti ho sempre salvato’. (…) Le madri che salvano i figli” riflette Violante “vivono una forma di immortalità, perché fanno vivere la vita che hanno trasmesso.” Nel libro l’ex presidente della Camera spiega il perché di quella frase della madre ma, leggendola, mi ha fatto pensare ad altro.
Nell’imminenza del ricordo dei giorni della grande alluvione in Piemonte – avvenuta trent’anni fa – quella frase – “Ma io ti ho sempre salvato” che fa anche da titolo al volume di Violante – mi ha fatto immediatamente andare con la mente all’esempio di Lucia Mina, la donna che è parte del nome dell’associazione La goccia di Lube (La goccia di Lucia Mina e don Bernardino Reinero), impegnata da anni ad accompagnare al lavoro le persone che scontano all’esterno del carcere l’ultima parte della loro condanna. Come un gesto, anche il nostro, di una “salvezza” che tenta di evitare disperazione o recidiva.
Lucia, travolta nella frana che il 5 novembre del 1994 a San Raffaele Cimena, nel Torinese, distrusse la sua casa e uccise il padre Francesco, la madre Cecilia e la figlia maggiore (di tre anni, portava lo stesso nome della nonna), morendo pure lei sotto il peso della calamità naturale protesse l’altra figlia, Letizia, di pochi mesi. Salvandola. Letizia… quasi una promessa di salvezza e di speranza in quel nome.


Oggi Letizia è grande, dice lo zio Alberto Mina, fratello di Lucia, “ha intrapreso una bella carriera professionale e custodisce il mistero della sua storia proprio come un mistero, con riservatezza.”
Alberto ricorda poi così la sorella: “Lucia è stata un modello di mitezza e più passa il tempo questa virtù mi appare come la natura degli spiriti grandi che non si servono della violenza per affermarsi ma che nella discrezione accolgono tutto e tutti. Credo che questa sia anche la cifra dell’impegno dei volontari de La goccia di Lube. Lucia, dunque, come modello di mitezza e di certezza del bene, nella pazienza, nell’umiltà, nell’accoglienza. Con un dettaglio: pur nel suo carattere schivo e discreto – non osava parlare in pubblico – era estremamente ardente nel cuore e sapeva prendere iniziative coraggiose.”
Anche Alberto ha saputo prendere un’iniziativa coraggiosa: in una lettera agli amici ha voluto sottolineare il senso di quell’esperienza. “Il passato non è mai morto; non è nemmeno mai passato”. Alberto esordice con una frase di William Faulkner (tratta da “Requiem per una monaca”) e parla di una “coscienza, continuamente rinnovata, di un evento che non si conclude, che non è passato, che non si spegne… la coscienza del mio rapporto con Cristo.” “Nell’ora più difficile di quei giorni” prosegue Alberto nella lettera “quando avevano allineato davanti a noi le bare dei quattro cadaveri, mi passarono al telefono don Luigi Giussani”.
Era uno dei primi telefoni cellulari, provvvidenziale… “’Ricordati, mi disse, di offrire tutto per il Movimento (si riferiva al Movimento Comunione e Liberazione, ndr) e per le sue missioni: in questa offerta si realizza un’opera misteriosa; ma, soprattutto, solo in questa offerta a Cristo troverai pace’. Da trent’anni risuona in me quel ‘ricordati’; e da trent’anni si rinnova in me quell’offerta e quella pace misteriosa, di una presenza che è così radicalmente buona e originaria, che non si può spiegare, pur trovandosi nel più intimo di me stesso.” Alberto sa di dire qualcosa di scandaloso, ma del resto, lo sottolinea lui stesso nella telefonata che ci siamo fatti per ricordare quel tragico episodio, “è scandaloso Cristo stesso, che proprio attraverso la morte conduca a una vita nuova, a una vitalità nuova.”
C’è grande mitezza e c’è grande certezza nelle parole scritte da Alberto Mina nella sua lettera-memoria: “Vivo la tensione tra una memoria rinnovata del misterioso sacrificio e la povertà continuamente scoperta della mia umanità. Questa tensione rende paradossalmente più chiara l’opera di Cristo, l’unico che rende possibile l’abitabilità della nostra condizione di morte in letizia. (…) L’opera più sorprendente di questi trent’anni è la Sua in me: una disponibilità che ritrovo in me alla mendicanza, alla commozione di Lui e alla pietà per il mondo, che, pur in una povertà estrema di espressione e di azione – dovuta alla mia inerzia e vile ignavia – non cessa di sorprendermi continuamente in uno stupore di gratitudine. (…) Il sacrificio della mia famiglia, che si unisce al sacrificio purissimo di mia figlia Grazia Maria, improvvvisamente morta nella luce della sua croce a vent’anni, diventa sacramento della preferenza di Cristo verso di me, profezia della sua gloria”. In questi fatti, in queste parole, i volontari de La goccia di Lube e tutti i partner del Progetto Impresa Accogliente – credenti e non credenti, filantropi e amanti della vita – possono trovare una sorgente di mitezza,di certezza di bene e di appassionato lavoro per il riscatto umano delle persone a loro, in qualche modo, affidate.
Adriano Moraglio