La goccia di Lube e il cardinale

“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.” In questa frase, Gesù ci appare come colui che sprona i suoi discepoli a rimboccarsi le maniche e a fare, non solo a pregare o a dedicarsi all’ascolto della Parola. Del resto, da poco abbiamo visto Gesù essere spietato con i farisei, che dicono e non fanno.” Cita il vangelo di san Matteo, al capitolo 7 versetto 21, che ha appena letto, il neocardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino, nell’omelia alla messa che sta celebrando nella chiesa della Congregazione delle figlie di Gesù Buon Pastore per gli auguri di Natale, davanti agli operatori sociali del Distretto Barolo, tra cui noi del direttivo de La goccia di Lube.

Il cardinale Roberto Repole alla messa per gli enti caritativi attivi nel Distretto Barolo nell’imminenza del Natale

Il cardinale però aggiunge, subito dopo, che la frase che ha citato non è che la prima parte di quel brano evangelico, perché “c’è tuttavia una seconda parte.” Ed eccola, la seconda parte: il cardinale immagina che Gesù, per spiegare quello che voleva dire veramente, abbia fatto ricorso a una metafora suggerita dall’assistere ogni giorno nella sua Palestina ad attività di costruzioni di case. “Gesù dice che c’è bisogno di una roccia su cui costruire la casa. Per l’uomo questa roccia non può che essere la persona e la fedeltà di Dio. Quelle parole – Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio… – trovano qui la loro profondità: il discepolo di Gesù è colui che è radicato nell’amore di Cristo. Egli è solido perché amato e custodito da Cristo. E’ solido perché radicato in Cristo. Da qui possono sgorgare opere che a loro volta tengono, come ad esempio la carità che dobbiamo alle nostre sorelle e ai nostri fratelli. La sorgente della carità è che l’amore di Cristo è fedele nonostante la mia piccolezza. E allora guardo in faccia il povero e l’indifeso e non è per ricercare me stesso. Da qui nasce la costanza di un’opera che perdona. Non sempre infatti si ha gratificazione nella carità. Occorre allora una costanza, che è tale solo se costruita su questa roccia, perché uno ha bisogno di quell’Amore per vivere. Solo quando ti sforzi di sollevare lo sguardo sul povero allora cogli che cosa è. In Gesù uno è unito a Colui che riversa tutto l’amore di Dio, un amore che non può essere solo per te. Accogliendo Cristo, essendo radicati in Lui, si compiono le opere di Cristo, e dalle opere si è portati alla verità di Cristo.” *

*appunti dall’omelia non rivisti dal cardinale

Su quale roccia poggia la nostra attività caritativa? Evidentemente è questa la domanda che ciascuno di noi volontari – credenti o no, discepoli di filosofie o diverse visioni di vita – deve farsi ogni giorno.

Adriano Moraglio

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