Ricordi di Fulvio Allais

La pubblicazione delle memorie di un ‘Vecchio alpino del 3°” di Italo Allais ha suscitato vivo interesse nei lettori. Nel testo sono citate diverse persone, che al momento della stesura del dattiloscritto erano ben individuati e conosciuti da tutti; dopo più di trentacinque anni la memoria è andata perdendosi e quindi ben volentieri pubblichiamo ulteriori notizie che ci sono state gentilmente fornite da Fulvio Allais su alcune di queste persone.

“Fulvio Allais non sarà mai uno scrittore, un romanziere….”.
Così viene descritto Fulvio Allais nella prefazione al suo libro “Il cuore del Piemonte”. Egli desidera solo narrare fatti veri, uomini di valore che non vanno dimenticati. Vuole lasciare a chi verrà dopo di noi, notizie di un mondo che non c’è più, prima che i ricordi vadano perduti per sempre. L’uomo muore veramente soltanto quando viene dimenticato. C’è un solo modo per non dimenticare la storia, la morte, i dolori: scrivere per ricordare.

Al ritorno dalla prigionia Italo Allais viene aiutato da una persona Vincenzo Fornaro.
“VINCENZO FORNARO è un astigiano, dotato di una forza non comune, lavora in Francia nel porto di Marsiglia, come scaricatore delle navi. Non è un violento, non farebbe male a nessuno con
la sua forza. Interpellato dai fratelli Franco ed Antonio Arduino arriva ad Avigliana con l’impegno di scaricare nelle celle frigorifere della SAFIM tonnellate di carne.
Lavora non otto ore, ma dal mattino alla sera, dice di farlo per i suoi figli che adora: un padre stupendo.
Conosce Italo Allais, diventano amici, di quella amicizia che non conosce ostacoli: diventa nella lotta partigiana la sua ombra, il suo protettore.
Italo Allais esce dalla galera, massacrato dai nazifascisti. Non è stato ucciso perché altrimenti si creava un martire. Era meglio eliminarlo con un incidente. Viene così mandato a lavorare sulla linea Torino – Modane oltre Bussoleno: un qualsiasi incidente lo avrebbe cancellato dal mondo. Giustificando l’assenza dell’Allais degente in Ospedale ( e poi fatto scomparire), Vincenzo Fornaro si presentò ai tedeschi e sostituì l’amico.
Anno 1945 – Aprile, la lotta partigiana è al termine, Sulla strada di fronte al mio Ristorante due partigiani fermano un soldato tedesco, ancora in divisa, un povero sbandato. E’ in bicicletta, non sa dove andare: viene messo al muro per essere fucilato. Per caso, Fornaro è presente: disarma i due partigiani. “E’ finita”, non si uccide più, basta col sangue”. Consegna il tedesco all’amico Italo che lo salva e lo ospita per un po’ di tempo. Il giovane tedesco è un artista, un pittore, dipinge uno stupendo affresco, quindi va ad abitare a Giaveno e diventa uno dei grandi pittori del tempo, facendo la fortuna di diversi antiquari.
Vincenzo Fornaro, un galantuomo, la sua figura non dovrà mai essere dimenticata.”

Fulvio Allais racconta un episodio di trenta anni dopo la fine della guerra.
“TRENTA ANNI dopo, una domenica mattina all’apertura del mio locale, noto nel parcheggio un’auto tedesca e un anziano signore che osserva la casa, forse un ricordo lontano. Mi avvicino, gli chiedo il perché di tanto interesse.
“Tempi lontani” mi risponde, ” sono un vecchio soldato tedesco comandante della piazza di Avigliana, città alla quale abbiamo evitato la distruzione e morte per il buon senso reciproco. Mi
ricordo un nome, Italo, un prete e un tipografo. Se sono ancora vivi li vorrei rivedere, ma non oso: sarebbe ricordare tempi tremendi. Non so come si comporterebbero al vedermi”.
Chiamo Papà Italo, mio padre: al momento non si riconoscono, poi si abbracciano.
Fu una gran festa, c’erano tutti: l’allora capitano tedesco, un prussiano tipografo di Lipsia, Papà Italo, Luigi Brun, Suppo Osvaldo il tipografo, Carlo Suriani, Francesco Reviglio, Giulio Nicoletta e il tenete Nino Cruscuolo.
Fatti veri, non sogni.”

Fulvio Allais tratteggia in breve, ma a forti tinte, la figura di alcune persone che non si dovrebbero dimenticare in considerazione della loro statura civile e morale, indipendentemente dalle loro idee politiche e dalla loro condizione sociale.

Mauro Donniacquo
Mauro è un ragazzo che ho allevato quasi come un figlio. Arrivò nel mio locale giovanissimo, portato dal papà per imparare un lavoro: non gli piaceva la scuola, preferiva lavorare. Saverio, Antonio e Pino gli insegnarono il mestiere del cameriere. Perché credevo in lui un giorno lo licenziai: gli feci capire e comprese che doveva conoscere il mondo e prepararsi alla vita dell’imprenditore. Mauro ascoltò, fu a Londra in diversi ristoranti e alla sera invece di andare a divertirsi, aiutava una vecchietta a vendere le caldarroste per potersi pagare il viaggio negli Stati Uniti. Lavorò in Umbria, Toscana, Cervinia e Sestriere, in Usa a Orlando e Walt Disney. Per una tremenda malattia ci lasciò molto presto. Lo abbiamo consegnato a Dio nel suo abito preferito, la divisa di cameriere.

Osvaldo Suppo
Non era Aviglianese ma di un paese vicino: Rubiana. Arrivò da noi, aprendo una tipografia e un negozio di oggetti per le scuole. Era un intellettuale, amava l’arte, ottimo pianista, una voce bellissima. Era un liberale, ammiratore dì Luigi Einaudi e di Enrico De Nicola. Anno 1941-1942. Guerra tremenda, caccia spietata agli ebrei, anche i Rotschild famosi banchieri austriaci. Tra questi c’è la baronessa Ilde, ricercata in tutta Europa perché ebrea, una anziana signora che fuggendo da Vienna doveva arrivare a Genova dove una nave compiacente l’avrebbe portata negli Stati Uniti, Arrivò a Torino come Tlde Frank ospite dell’avv. Valdo Fusi, maestra e concertista di pianoforte con dimora all’hotei Majestic. Valdo Fusi interpellò l’amico Italo Aiiais e lide arrivò ad Avigliana dove si fermò per quasi un anno. Conosce Osvaldo Suppo Herr Super: ogni sera si mettevano al piano ed era spettacolo. Poi un giorno arrivò la notizia che tutto era pronto per l’imbarco. Italo A. e Osvaldo S. con una vecchia balilla, di nascosto, la portarono a Genova e la imbarcarono verso la libertà. Non ebbero più sue notizie, rimase solo il ricordo di una grande amicizia.
Anno 1945 -Aprile. Avigliana ha un presidio di Alpenjager. Il comandante, tipografo pure lui, propone a Suppo un incontro con i maggiorenti della città. Un incontro in Chiesa, alla presenza di Don Menzio che convoca Luigi Brun, Francesco Revigìio, Vincenzo Fornaro, Italo Allais, Attilio Putero e Osvaldo Suppo. Fu così che grazie a questi uomini coraggiosi, Avigliana svegliandosi, non trovò più gli Alpenjager, erano partiti, scomparsi, lasciando la città libera e senza danni. Era tornata la libertà.

Campagna cav. Guido
E’ consuetudine credere che la storia “vera” di una persona o di una epoca si possa raccontare quando essi non ci sono più. Per Guido Campagna non sarebbe necessario. Guido Campagna titolare del Bar della Stazione, per più di mezzo secolo è stato presidente Commercianti di Avigliana. Per qualsiasi necessità il Commerciante di Avigliana poteva rivolgersi al Cav. Campagna, che, senza spese, sempre risolveva. Era un fascista, non anticomunista. Cito un fatto: Lourens Germana è un socialista: sopporta le conseguenze, per le sue idee deve lasciare la sua famiglia emigrare in Francia, emigrante politico. Guido Campagna viene a conoscenza di questa situazione. Scrive e convince Lourens Germena a tornare, garante la sua parola. Il giorno del suo arrivo alla stazione c’è un gruppo di fascisti che lo attendevano con il “manganello”. C’è anche Guido Campagna alla stazione, che lo riceve lo porta a casa e lo accompagna in fabbrica a riprendere il lavoro,
1942 – La baronessa Ilde Rotschild, della famiglia austriaca, banchieri, ebrea, è ricercata in mezza Europa dai nazisti. Arriva ad Avigliana, per giungere poi a Genova e essere imbarcata verso gli Stati Uniti. Italo Allais avverte Guido Campagna di questa situazione: mai nessuno è stato avvertito della presenza di questa signora.
Era presente – per rispetto – a tutti i funerali di aviglianesi a qualsiasi “fede” appartenessero. Amava i giovani, il suo bar era sempre aperto anche quando non si “poteva” pagare il dovuto per le consumazioni. Sergio de Ambrosis, Fulvio Allais, Roberto Girodo, Renato Filippini erano i suoi prediletti, i suoi figli. Alla sera, alla chiusura del bar, lasciava fuori un tavolino, 4 sedie, due mazzi di carte, qualche birra, dei “preferiti” diceva “caso mai non avevano sonno …”

“El me tarò”
Sono uomini in tempi diversi: in comune la passione per la terra.
Nuciu
Sapeva solo lavorare in fabbrica, alla Nobel, e a casa sua curava la sua terra e la sua cascina in riva al Lago; l’unico suo passatempo era la pesca, il suo salotto era la vigna, il premio la vendemmia. Quando il vino “a l’era giust” Nuciu Maian radunava i suoi amici del lago per sentire il loro giudizio. “San Martin” per Nuciu era Pasqua e Natale insieme.
Tex – Mario Allais.
Durante la sua vita ha conosciuto la guerra, il campo di concentramento, mai un momento di tristezza: aveva la sua terra, ì campi, l’orto, la vigna, i conigli. Le fatiche l’hanno un po’ piegato: fatica a camminare, però non rinuncia al suo orto, alle sue bestie. Ultimamente l’ho visto in ginocchio, accudire il suo orto, sembrava quasi pregare. Un giorno lo troveremo nel suo campo senza vita. Sono certo che Tex è quello che spera, che si avveri.
La “maestra Sada “
“in altins tendo”. Potrebbe essere il motto di “Nando della Benne Bianca”; Nando Sada, nella sua attività di costruttore ha messo tanti dì quei mattoni che se il cielo avesse un limite, sarebbe vicino a toccarlo. E’ un uomo fortunato: ha avuto una mamma meravigliosa, la “maestra Sada” che fino alla soglia dei cent’anni ha dato “al suo Fernando” tutti i giorni, una goccia della sua personalità, del suo amore. Era una donna che emergeva su tutti: piccola di statura ma grande per le sue qualità. La maestra Sada nel suo quasi secolo di vita seppe essere un esempio come donna, mamma, maestra. Personaggio pubblico, rispettata da tuti: fascisti, comunisti, democristiani, credenti e non credenti. Un giorno soldati tedeschi gli sequestrarono la bicicletta. Il loro comandante ordinò di restituirgliela. E’ stata la “maestra” di diverse generazioni. Alla domenica, all’uscita dalla Chiesa, la gente faceva il possibile per salutarla, per rispetto e per il piacere di parlarle. “Maestra noi andiamo al bar da ” Tujzela”, vuole essere dei nostri? “Grazie non disturbatevi mi aspetta la mia famiglia su alla “Benna Bianca”, la domenica è l’unico giorno completo che posso dedicare a loro. Aveva quasi cent’anni quando un giorno, in silenzio, senza disturbare, se ne andò.
Blandino Vittorio
Vittorio Blandino non c’è più, è andato avanti.
Purtroppo per tanti era uno sconosciuto: invece Tojn Blandin era un grande, un eroe dei nostri tempi. Era un socialista, ma ai tempi della Resistenza era solo un partigiano combattente, nemico della prepotenza che allora annientava chi aveva il coraggio dì opporsi.
Io ricordo un giovane sui vent’anni che in compagnia di un prete Don Foglia –“Fra Dinamite” -veniva da mio padre: a quegli appuntamenti arrivavano sempre due dipendenti della Nobel: Ferruccio “Ceiretta” Panicco e Ginetto Copercini. A sera inoltrata vedevo una barca attraccare sotto casa nostra: scaricava del materiale, poi scompariva nella notte. Per primo si presentava da Giaveno “Bertu” Romano con la sua “Balilla” poi arrivava quel giovane con un carro “Tqfn Blandin?”, caricavano in fretta dei sacchi un saluto frettoloso quindi ognuno per la sua strada. A quei tempi hanno recato più danni ai nazifascisti che la intera aviazione inglese. Non hanno mai chiesto alcun riconoscimento, anzi, dopo la fine della guerra se c’era qualche necessità li trovavi sempre in prima fila.
Tojn Blondin dedicava il suo tempo libero alla ricerca delle salme dei partigiani uccisi in montagna. Con le sue mani, incurante delle infezioni che poteva procurarsi: “sono la mia gente, miei fratelli meno fortunati di me, massacrati perché difendevano la propria terra. Vittorio accettava la guerra solo per difendere il proprio paese, non per invadere o ottenere altri paesi.
Vittorio Blandino, uomo grande, un eroe dei nostri tempi, se Dio è giusto, lo deve accogliere in cielo tra i grandi personaggi di tutti i campi.