AVIGLIANA: CITTÀ’ SOSPESA TRA PIETRA E ACQUA

“Lo spirito del luogo! E’ per questo che viaggiamo, per sorprendere la sua impercettibilità” (Alice Meynell). Avigliana è città poco conosciuta, non inserita, se non per un veloce e casuale passaggio, nei canonici circuiti turistici. Questo articolo vuole essere un invito non a visitare la città alla stregua di un turismo frenetico ed onnivoro che, in realtà, poco vede e nulla “sente” ( sul modello di conduzione della nostra vita quotidiana), bensì a “vivere”, “sentire”, “percepire” quello che la scrittrice Alice Meynel definisce “lo spirito del luogo”. Una città come Avigliana si cela, si suggerisce e, quando si lascia conquistare e scoprire, offre se stessa, la sua eterna natura, i suoi edifici, le sue vie, i suoi anfratti, le sue mura e li offre, per gran parte ancora, da restaurare. Poco male: come insegna il dio romano Giano Bifronte (patrono degli inizi nello spazio, nel tempo, nell’essere) esistono sempre due modi di vedere le cose. C’è chi negli edifici ancora da restaurare può leggere incuria e degrado, decidendo, quindi, di affrettare l’andatura ed andare altre, e ci sarà chi rallenterà il passo, si fermerà, osserverà, lasciando libera quella fantasia e suggestione che nascono davanti ad una testimonianza architettonica antica. Le crepe, i bassorilievi incompleti, gli affreschi sbiaditi sono come i volti umani segnati dalle rughe: espressioni di vita, possono essere trascorsi decenni o secoli, ma impressi sui volti o su facciate sono “segni” di dolori, felicità, intemperie, pioggia, sole e vento. Gli elementi storici che forniremo saranno minimi. La conoscenza minuziosa, analitica e quasi scientifica di un monumento, di una chiesa, di un particolare ambiente naturale può essere utile a studiosi e scienziati, non al visitatore che del viaggio, della conoscenza di un luogo faccia un momento di “scoperta” dell’ “impercettibile” offerto da una città così antica, una città che nel suo -esserci- e -suggerirsi- fa sì che il viaggio avvenga -fuori- e -dentro- di sè. Avigliana porta su di sè segni di storia antichissima. Nasce su un territorio sagomato dalle grandi glaciazioni, che, trasportando a valle masse di detriti morenici, hanno formato i due laghi, il Grande ed il Piccolo, immersi in una zona paludosa, detta Palude dei Mareschi, di grande interesse naturalistico. Nell’ambiente lacustre si possono incontrare le più svariate specie di uccelli (è, questo, un vero e proprio paradiso per gli appassionati di ornitologia) e di pesci che, spesso si lasciano sorprendere a nuotare in superficie.

DAL MITO ALLA STORIA

Dalle prime testimonianze di presenze umane sul territorio, ha avuto inizio quel rapporto vitale, viscerale, di appartenenza o di allontanza, di dominio o di sconfitta, tra l’uomo e la terra. Il mito racconta che Ercole, valicando per primo le Alpi, sia passato per il nostro territorio. Una terra fredda, ma non ancora così aspra e selvaggia come quella che lo avrebbe atteso più in là. Qui, su questa terra che ancora non era -Avigliana-, ci piace immaginarlo ad abbeverarsi presso una delle tantissime sorgenti che sgorgavano dalla Grande Madre Terra. Avigliana è città “femminile” per antonomasia, un grembo accogliente, generosamente dispensatore dell’elemento primordiale femminile: ’acqua (simbolo della fecondità), con i laghi, i ruscelli, i torrenti, le piccole cascate nascoste dietro insospettabili colline, le innumerevoli sorgenti. Sparsi sulle colline, sulle piccole vette intorno ad Avigliana rimangono, anch’essi testimonianze millenarie, i massi erratici. I1 territorio valsusino (ed ovviamente aviglianese) è stato, originariamente, territorio Celtico. Può essere suggestivo ricordare come l’idea celtica primitiva della fecondità femminile si rifacesse, oltre che all’Acqua, anche alla Pietra. Su alcuni massi, lungo la Val Susa appare incisa una grande “M”, lettera che sta, forse, ad indicare le Madri o Matrone. Il mito primigenio della fecondità vedeva un’unione tra la Gran Madre e la Pietra Sacra. Attorno a questi massi si presume avvenissero alcune danze sessuali a scopo fecondativo tipiche delle popolazioni celtiche. I luoghi sacri dei Celti, originariamente privi di idoli o templi, erano innanzi tutto le selve. Un bosco sacro esisteva probabilmente nei pressi di Avigliana, in una località detta Felonia. Tutt’ora una parte della città, nei pressi dei laghi e della Palude dei Mareschi, è circondata da boschi o piccole selve: proviamo a guardarle, oggi, nelle notti di Luna Nuova, come li vedevano, secoli fa i Celti, illuminati dalla luce della Dea Bianca, la dea della nascita e della crescita. E neppure l’arrivo e la conquista del territorio da parte dei Romani, riuscì a soppiantare del tutto il culto celtico delle Matrone. Ad Avigliana per un cippo dedicato a Zeus, due erano per le Matrone. L’unica linea ideale di identificazione- prosecuzione attuata dai Romani fu con la Dea Madre. La località Malano (situata nei pressi della frazione Drubiaglio) rappresenterebbe un vero e proprio tesoro di scoperte archeologiche. “Rapppresenterebbe” perché, finora, è mancata una precisa volontà sia politica, sia della Sovrintendenza a sovvenzionare scavi accurati che, certamente, portando alla luce testimonianze di diverse stratificazioni storiche, fornirebbero elementi indispensabili per “leggere” la storia del territorio . Fra i reperti che è stato possibile recuperare, di grande interesse è un cippo marmoreo che raffigura cinque bellissime Matrone,
rappresentate in un femminile ed elegante ritmo di danza. Il legame Avigliana – Matrone è un legame indiscutibile: pietre, boschi ed acqua, gli elementi naturali che caratterizzano la città, hanno fornito l’humus ideale per la popolazione celtica, che proprio nelle pietre, nei boschi e nell’acqua vedeva i simboli viventi della sua poetica religiosità espressa dalla triplice Dea Bianca e dalle Madri-Matrone. Durissima, infatti, fu la lotta ingaggiata dal Cristianesimo per eliminare la “divina Alleanza” tra l’uomo e le Dee.
Territorio posto in una posizione strategica, Avigliana, tra battaglie vinte e battaglie perse, tra distruzioni e ricostruzioni, vide passare S.Pietro, Cozio, Costantino (che ne distrusse mura e templi), Alarico, Odoacre, Teodorico, i Longobardi, Carlo Magno, persino gli Arabi arriviamo all’anno 940 e il Conte Arduino III riuscì a cacciare i “Saraceni”, fece costruire un CASTELLO sul Monte Pezzulano, dove andò a vivere nel 949. Ma il vero personaggio destinato a dare un’impronta, a far fiorire Avigliana, città “femminile”, non poteva che essere una donna: Adelaide, Marchesa di Susa. Sposò in terze nozze Oddone, figlio di Umberto Biancamano e portò in mano dei Savoia i suoi possessi cisalpini. Fu Adelaide a decidere di ampliare la città e così immagina Padre Bracco (l’unico, grande naviga¬tore della storia di Avigliana vissuto nel 1800, capace non solo di “descri¬verne” rigorosamente la storia, ma anche capace di “scriverla”, lasciando scorrere immaginazione e suggestioni): Correva l’anno 1055 quando Ade¬laide, contemplando coll ‘Augusto suo consorte da quella alpina roccia la notevole distanza che correva tra il castello ed il rimanente paese situato ai piedi del monte allora detto Pesulano ,limite chiave delle Alpi Cozie e vedendo essere la falda del monte affatto priva di case, risolvette di erige -re un borgo continuato dal secondo altipiano, capace di mutare aspetto a quel malinconico deserto. Diede pertanto ordine di estirpare le ceppaie, i pruni silvestri, i secolari castagni, e tolti gli ingombri delle pietre ed appianato il terreno, vi fece sorgere palazzi con portici. E nacque così il Borgo Vecchio (l’attuale via XX Settembre, la piazzetta e la via Santa Maria che porta alla omonima Chiesa) fu edificato ad opera di Adelaide: la prima urbanista della storia di Avigliana. Il suo discendente Amedeo III proseguì la sua opera espandendo ulteriormente (1146) verso l’attuale via Porta Ferrata, dove si trova l’omonima Casa (XII sec. portico con arcate a sesto acuto con cornici in cotto, capitelli con figure fantastiche e splendide bifore) e la Piazza Conte Rosso.
Il borgo fatto edificare da Adelaide fu denominato Borgo Vecchio, la suc¬cessiva edificazione venne identificata come il Borgo Nuovo.
Proseguendo oltre la piazza Conte Rosso, in via Umberto I, si incontra la Chiesa di San Giovanni Battista, di fronte alla quale scende la via Garibaldi. Attraversato il Corso Laghi si percorre la Via S.Pietro trovando l’antica Chiesa di S.Pietro in Folonia.
E’ questo un percorso estremamente suggestivo, dove ogni “segno” e un richiamo all’epoca medioevale, quando la città era un fervore di attività, uno scorrere ed intrecciare di persone, di mestieri, di discussioni. Qui, tra le botteghe di fabbri, maniscalchi, vasai, sarti ed quanto altro ancora, passavano i pellegrini della via Francigena, di ritorno o diretti verso Santiago de Compostela, passavano e urlavano e imprecavano e persuadevano gli eretici della vicina Val Sangone, mentre le donne, impegnate nelle loro attività, si recavano anche a fare il bucato presso i pozzi.
La piazza principale è dedicata al Conte Rosso, Amedeo VII, Conte di Savoia che leggenda vuole fosse nato nel Castello. In realtà il Conte si reca¬va in Avigliana assai di rado. L’unica testimonianza di una sua presenza in città si ha risalente al 1389, quando passò il corteo che accompagnava Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, diretta in Francia per conoscere il suo sposo Luigi, fratello di Re Carlo. E furono indetti, per l’occasione grandi festeggiamenti, tornei, sfilate, musiche e balli. L’episodio viene ricordato ancora oggi in occasione del Palio, che si tiene ogni anno nel mese di Giugno, caratterizzato da splendide sfilate in costume e da gare che vedono in competizione i Borghi della città per la conquista dello stendardo del Conte Rosso. Tra alterne vicende giungiamo al 28 Maggio 1690, quando il Castello fu distrutto a cannonate dall’esercito francese inviato dal re di Francia Luigi XIV e comandato dal maresciallo Catinat. Le sue rovine dominano, dalla rocca, la città e c’è chi dice che, nella notte tra il 28 ed il 29 Maggio, si senta ancora l’ordine del Catinat: “Brulez! Brulez!”. Può accadere di visitare Avigliana durante quelle giornate di vento impla¬cabile tanto frequenti nella Valle di Susa. Nulla di terribile: fa parte della nostra natura e la voce del vento porta fino a noi, attraverso il tempo e lo spazio, l’antico indovinello contenuto nei Mabinogion, la più famosa raccolta di versi dei menestrelli gallesi:

Scopri che cos’é:

la forte creatura di prima del diluvio
senza carne ne ossa,
senza vene nè sangue,
senza capo nè piedi…
nel campo, nella foresta…
Senza mano nè piede.
E’ anche tanto vasta
quanto la superficie della terra,
e non è mai stata generata,
nè mai l’hanno vista…..

è il -vento- che dal Galles giunge in ValSusa.