La presidenza di Donald J. Trump (2025-2029): un incubo per l’America Latina?
Victor Carballo, novembre 2024
Il 20 gennaio 2025 inizierà il secondo mandato di Donald Trump, il quale sarà il suo ultimo mandato come presidente degli Stati Uniti. Quali sono le speranze per il popolo dell’America Latina nei prossimi quattro anni?
Foto tratta da Resumen Latinoamericano
In primo luogo bisogna tener presente che l’attuale panorama politico internazionale (non solo dell’America Latina ma anche di tutto il mondo) non è lo stesso, rispetto alla sua prima presidenza e alla situazione interna degli stessi Stati Uniti.
La narrativa di Donald Trump in politica estera varia in basa a chi sono i soggetti a cui si riferisce: per esempio, fuori dal continente americano, parla di “non fare più guerre” però utilizza un linguaggio intimidatorio verso la Cina (applicando dazi alle importazioni di veicoli elettrici) e minaccia la Federazione Russa; mette condizioni ai paesi membri della NATO (se vogliono continuare a farne parte devono versare all’organizzazione almeno il 3% del loro PIL)
Il discorso con l’America Latina ha un tono diverso, gli risulta più naturale fare discorsi da “bullo”, anche se la situazione del subcontinente è differente rispetto alla sua prima presidenza.
Dal mio punto di vista sono due i governi per i quali Trump ha una particolare avversione: Messico e Venezuela.
Il primo per tre ragioni: a) è un vicino con il quale ha una lunga frontiera, attraverso la quale arrivano migliaia di latinoamericani, inclusi messicani, centroamericani, sudamericani, caraibici e di altre latitudini, in cerca di asilo politico ed economico; b) Trump parla del contrabbando di droghe, come cocaina e fentanil, che è diventato una vera e propria epidemia negli Stati Uniti, e a causa della quale Trump ha dichiarato che farà la guerra ai cartelli messicani, affermando che bombarderà i luoghi dove fisicamente si trovano; c) minaccia di aumentare del 25% i dazi dei veicoli prodotti in Messico che contengono delle componenti cinesi.
Rispetto al Venezuela, Trump ha puntato il suo petrolio fin dalla precedente presidenza. Riconobbe Juan Guaidó come “legittimo presidente” e ora riconosce Edmundo Gonzales Urrutia, attualmente esiliato in Spagna. Si sa che Trump ha minacciato di invadere il Venezuela e cospirò per colpire il paese con misure drastiche di tipo finanziario ed economico, oltre a fare molta propaganda contro il governo venezuelano. Crediamo che queste politiche continueranno con la nuova presidenza degli Stati Uniti, e con la stessa intensità.
Ci sembra che il problema maggiore per Trump siano gli Stati Uniti. La situazione economica, per esempio, la bassa produzione industriale comparata alla Cina, il debito interno di 35 miliardi di dollari che opprime il governo, mentre la popolazione è sensibile al problema di salute di migliaia di cittadini che ricorrono alle droghe come mai prima d’ora.
Questa situazione interna obbliga il governo degli Stati Uniti, indipendentemente dal partito che li governa, ad agire in politica estera con azioni poco popolari e per nulla di nobili principi. Per esempio hanno messo l’Unione Europea in una posizione di svantaggio perché l’hanno obbligata a imporre sanzioni e ad entrare nel conflitto contro la Russia e a tacere su chi attentò al Stream II, a causa del quale l’Unione Europea ha perso la possibilità di comprare a prezzi vantaggiosi petrolio e gas dalla Russia; in cambio le imposero di comprarli a prezzi più alti dal loro “alleato” nordamericano, favorendo in questo modo la riattivazione dell’economia nordamericana con incentivi fiscali che spingevano le imprese a investire sul territorio statunitense.
La forza degli Stati Uniti si esprime nell’utilizzo del dollaro come moneta di uso mondiale, nella crescita dell’industria delle armi e nelle più di 750 basi militari sperse in tutto il mondo.
Sembra che ora queste armi non siano molto efficaci. Qualche decina di anni fa con poche sanzioni gli Stati Uniti potevano minacciare qualunque governo che non seguiva le indicazioni da loro imposte; ora, sono richieste centinaia o migliaia di sanzioni per far breccia in alcuni paesi. Che cosa è successo nel mondo dall’ultima volta che Trump fu presidente? La proposta civilizzatrice che gli Stati Uniti imposero al mondo, dopo la seconda guerra mondiale, ha perso di lucidità e prestigio. Si nota la sua debolezza perché necessita sempre di più di applicare sanzioni contro quei governi e paesi che si rifiutano di entrare nei loro piani strategici e che non governano secondo le regole da loro dettate. Questa debolezza deriva dall’attitudine aggressiva e intimidatoria statunitense.
Il cartello economico commerciale BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) ha guadagnato posizioni a livello mondiale in questi ultimi anni. Nel 2024 erano associati 23 paesi. Secondi i dati del FMI questi paesi sommati hanno il 37% del PIL mondiale e riuniscono il 47% della popolazione mondiale. Questi dati superano quelli del G7 (Stati Uniti, Germania, Giappone, Regno Unito, Canada, Italia e Francia) che insieme hanno il 34% del PIL mondiale.
I BRICS hanno proposto di commerciare tra di loro usando ciascuno la propria moneta, senza minacce o condizioni che pregiudichino la sovranità dei membri. Hanno pianificato di utilizzare un sistema elettronico differente dal SWIFT (Society for worldwide interbank financial telecomunication), per abbandonare il meccanismo usato dagli Stati Uniti per le trasmissioni bancarie a livello mondiale. Funziona la Banca di Sviluppo e hanno proposto, a medio termine, di impiegare una moneta differente dal dollaro.
Il commercio migliorerà e si amplierà tra i soci del BRICS+, e questo permetterà loro di aggirare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e l’Unione Europea contro quei paesi non affini ai loro interessi o dichiarati nemici.
Ovvero, i BRICS stanno avanzando gradualmente, con le loro azioni e decisioni, verso una nuova civilizzazione politica che sostituirà il decadente modello occidentale basato sul “destino manifesto” che non è altro che la manifestazione di un fallito e obsoleto destino.
Il Venezuela non partecipò all’ultima riunione (Kazan, ottobre 2024) però ha un ottimo rapporto con i fondatori del BRICS. Questo significa che gli Stati Uniti, hanno ancora margine di manovra verso il Venezuela; anche se meno rispetto a Cuba, che è un nuovo socio e che poco a poco sta uscendo dall’embargo commerciale impostole da 60 anni dagli Stati Uniti.
Il Messico ancora non fa parte del BRICS, però ha la forza per affrontare Trump. Questo metterà pressione al nuovo governo di Claudia Sheinbaum Parado nel consolidare la narrativa interna di attacco verso l’immigrazione illegale.
In America Latina ci sono tre membri BRICS: Brasile, Cuba e Bolivia, paesi che possono resistere, opporsi e superare le eventuali sanzioni di Trump. In Centroamerica Nicaragua e Honduras hanno fatto richiesta di entrare nel BRICS. Però Trump ha come alleato “forte” in Sudamerica il governo di Milei in Argentina, anche se deve ancora superare la crisi economica interna.
L’economia mondiale si sta spostando verso i paesi BRICS+ e si prevede una graduale sostituzione degli strumenti finanziari e di commercio alternativi che vanno in parallelo a quelli tradizionali del modello neoliberale attualmente in vigore, che non sono più attraenti.
Man mano che i BRICS consolideranno la loro alleanza e si rafforzeranno rendendo effettivi gli strumenti finanziari e commerciali, molti più paesi vi si uniranno. La scommessa per un mondo migliore sta sul tavolo, il tempo delle sanzioni e delle minacce è finito.
Non rimane altro che rimanere a guardare come la situazione mondiale si sviluppa, per vedere quanto intensi potranno o no essere i futuri rapporti tra Stati Uniti e l’America Latina nella seconda era di Trump.
Tradotto da Elisa Merlano