Una nuova cultura dell’invecchiamento
Approfondimento
Autore Bruno Bertagna
Nell’ormai lontano 1972 il Professor Francesco Maria Antonini, insigne geriatra, titolare dal 1962 presso l’Università di Firenze della prima cattedra al mondo di insegnamento della Gerontologia e della Geriatria, incaricava un suo collaboratore, il Professor Angiolo Sordi, di scrivere due capitoli del Trattato di Gerontologia e Geriatria che si apprestava a redigere e coordinare insieme ad un altro suo collaboratore, il Professor Carlo Fumagalli, per l’editore A. Wassermann di Milano.
Il Professor Antonini è stato un precorritore della geriatria moderna; basti ricordare il convincimento che le cure geriatriche debbano essere intensive, progressive e riabilitative, l’enunciazione del valore terapeutico dell’Unità di Cura, l’asserzione del modello di ospedale aperto, gli studi sull’anziano fragile. L’insegnamento del Professor Antonini coniugava la ricerca scientifica e l’attenta applicazione dei fondamenti teorici e pratici della diagnosi e della terapia con la visione umanistica della Medicina e lo studio antropologico, sociologico e psicologico della persona senescente, sul significato profondo, esistenziale, della vecchiaia, sfatando anche i luoghi comuni sull’ineluttabilità delle perdite nell’età senile, da lui intesa come “fase importante di maturazione individuale”.
Nel pensiero di Antonini vi erano tutte le premesse affinchè Angiolo Sordi sviluppasse, in uno dei capitoli del trattato a Lui affidati, il concetto di “Geragogia”, termine da Lui coniato, intesa come “educazione all’invecchiamento” con l’ambizioso proposito di insegnare all’anziano “un nuovo orientamento interiore sul modo di gestire l’esistenza”.
Nel pensiero di Angiolo Sordi “la senilità è una grande occasione per assumere un ruolo non professionale, il mestiere di uomo, e per vivere una vita che vivendo contempla il vivere, e così facendo lo migliora, lo affina, lo rende più umano”.
In piena assonanza con il Professor Antonini, Angiolo Sordi afferma: “ La senilità è il punto cruciale e più alto dell’esistenza. Lungi dall’essere un semplice tramonto, un lento declinare, è un’occasione unica, è il luogo più propizio per adottare certe attitudini, per assumere certe condotte…orientandosi verso aree dove il pensare ha un ruolo preminente sull’agire,…affinchè da vecchio ognuno sia un filosofo, che osserva, medita, valuta e tollera”.
La geragogia, così come intesa dalla Scuola di Firenze, non è solo prevenzione. La geragogia, scienza e applicazione, ha come obiettivo preparare il soggetto ad affrontare al meglio e più consapevolmente i cambiamenti fisici, psicologici e sociali che caratterizzano l’invecchiamento. Insegnare all’anziano come gestire al meglio la propria esistenza.
I fondamenti della geragogia risiedono nel pensiero filosofico degli antichi; come non ricordare le parole di Catone nel “De Senectute” di Cicerone: “I vecchi non compiono i lavori dei giovani, ne fanno altri molto più seri e più importanti” e soprattutto di Seneca nell’Epistula ad Lucilium: “ Maturità e vecchiaia acquistano un nuovo valore, impreziosito dalla saggezza e dall’esperienza, considerate faro di riferimento per la società e la famiglia. La vita che culmina nell’acquisto della saggezza ha toccato la meta più importante”.
In tempi meno lontani Romano Guardini, teologo e scrittore, nel libro “Le età della vita” del 1953 scrive: “C’è un modo giusto ed uno sbagliato di diventare vecchi. Invecchia nella giusta maniera chi accetta interiormente di diventare vecchio. Colui che diventa vecchio nel modo giusto sarà capace di comprendere la totalità della vita e saprà trasmettere eguale capacità a figli e nipoti, autore e creatore della società del suo presente e del futuro che, anche se non più suo, sarà”.
Come non pensare che queste siano state le fonti di ispirazione del Professor Antonini quando parlava di vecchiaia come vittoria. Vittoria sulla malattia sicuramente, ma anche e soprattutto vittoria su un concetto di vecchiaia riduttivo perché limitato alla contemplazione delle perdite senza porre in essere comportamenti di compenso, senza effettuare quegli investimenti su se stessi che attivano e ampliano le capacità psichiche, e non solo, della persona.
In questo senso il Professor Costantino Iandolo si esprimeva nel 1982 nel suo libro opportunamente intitolato “Le due vecchiaie”.
Siamo tutti felicemente consapevoli che, soprattutto nell’ultimo secolo, la durata media della vita è significativamente aumentata. Le motivazioni risiedono nel benessere economico, nei progressi della medicina, nel miglioramento degli stili di vita, nell’implementazione del “welfare state”.
Non dobbiamo però sottrarci alla domanda sul “come invecchiamo”. I report sull’attesa di vita in buona salute e libera da disabilità non sono così favorevoli. Paradossalmente l’obiettivo della medicina di evitare la morte prematura sembra essere più facilmente raggiungibile che non quello di evitare disabilità e invalidità. Tra gli obiettivi primari della medicina geriatrica vi è anche quello di prevenire gli eventi che possono causare disabilità e, in caso di malattia, ottenere il pieno ristabilimento non gravato da complicanze e il ripristino delle modalità esistenziali antecedenti l’evento o, almeno, l’ottimizzazione delle capacità funzionali residue.
Il processo di invecchiamento è influenzato da numerosi fattori, da quelli genetici, allo stile di vita, alle condizioni economiche e sociali, alle malattie, alle perdite affettive, sociali, materiali. Dalla loro interazione, e dai meccanismi di compenso, derivano le modificazioni rilevabili durante la senescenza.
La prevenzione (stile di vita sano: alimentazione equilibrata, attività fisica, attività intellettuale, relazioni sociali, astensione da sostanze d’abuso) deve essere attuata fin dagli anni più giovanili, perché “la vecchiaia si costruisce nel corso dell’intera vita”, ma è soprattutto con il sopraggiungere della “crisi dell’età matura” quando viene il tempo del bilancio delle esperienze e degli obiettivi e ci si pongono degli interrogativi sul significato dell’esistenza e sul senso della propria vita, che ci si trova a dover scegliere tra la contemplazione delle perdite e la mobilitazione delle risorse, l’individuazione della possibilità di nuovi investimenti sulla propria persona.
La persona che affronta questa fase della vita deve essere consapevole che la contemplazione passiva delle perdite subite espone ad un maggiore rischio di malessere psicologico, di stress, di isolamento sociale, di malattia.
Per contro, concepire questa età della vita come momento di trasformazione, cambiamento e occasione di nuove opportunità, aiuta ad elaborare il significato delle perdite, prendere coscienza della possibilità di colmare i vuoti con dei nuovi contenuti, dei nuovi investimenti. L’invecchiamento diventa occasione per la formulazione di una nuova progettualità esistenziale, sviluppo di nuove competenze, acquisizione di nuovi ruoli attivi gratificanti e socialmente valorizzati.
La vecchiaia così concepita e vissuta può diventare armonica e non contrastante con le altre fasi della vita, della quale rappresenta invece il completamento di un percorso, il tempo nel quale si raccolgono i frutti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità da oltre 20 anni promuove l’invecchiamento attivo. “Invecchiamento attivo significa invecchiare ottimizzando tutte le opportunità finalizzate al benessere e al mantenimento della salute: avere buone relazioni sociali, mantenere curiosità e interessi, evitare la sedentarietà, curare l’alimentazione, aderire ai programmi di prevenzione, partecipare alla vita della comunità, curare sentimenti positivi nei confronti di se stessi e degli altri”.
Gli effetti benefici della senescenza attiva sono oramai accertati: mantenimento del benessere fisico e psichico, conservazione dell’autonomia personale, contrasto all’insorgenza e all’evoluzione delle malattie, mantenimento della competenza sociale.
La geragogia, branca della gerontologia, è uno strumento educativo per la realizzazione di questi obiettivi. I suoi cardini sono il riconoscimento e l’attribuzione di valore alle persone anziane, il contrasto agli stereotipi, ai pregiudizi e alle discriminazioni.
Si concretizza attraverso un percorso di aiuto nella presa di coscienza e nell’accettazione dei cambiamenti, nell’individuazione di nuovi scopi esistenziali e nella progettazione di un percorso positivo idoneo a vivere pienamente questa fase della vita.