Parrocchia di Sant’Agostino

Sabato 6 febbraio 2021
Ancora tempi di Covid 19 ma in zona gialla.

Nell’ultima riunione su zoom Jimmy ci propone una visita alla parrocchia di Sant’Agostino, in via Sant’Agostino angolo Via Santa Chiara.

L’originaria configurazione dell’isolato, che oggi comprende l’antico Convento tra via delle Orfane e via Santa Chiara, risale alla seconda metà del XVI secolo, quando, introdotto a Torino l’Ordine degli Agostiniani Calzati, venne loro concessa la Chiesa dei SS. Giacomo e Filippo. I padri vollero subito ricostruirla e intitolarla al loro santo, dandole pressappoco la struttura architettonica attuale con annesso chiostro a servizio del convento, le cui maniche principali su via Santa Chiara e via delle Orfane furono però costruite a partire dalla prima metà del Settecento. Il fabbricato fu, per circa un secolo, dimora monastica chiamata a celebrare il crescente prestigio goduto dagli Agostiniani nella Città di Torino. Con la soppressione dell’Ordine, imposta nel 1800, le vicende dei vari edifici si intrecciarono con quelle della nascita delle Terziarie domenicane che stabilirono nell’ex Convento la loro sede. Successivamente i locali furono occupati dal Conservatorio e dal Tribunale, sezione civile.

Negli anni ’60 del secolo scorso, il Comune riprese possesso dell’immobile, apportando consistenti modifiche senza però toccare l’antica Cappella. Oggi buona parte dello stabile è stato venduto dal Comune a privati.

Arriviamo all’appuntamento davanti alla chiesa. Siamo in quattro: Lino De Vita, socio fondatore della nostra Associazione ci introduce, visto che conosce bene la parrocchia, il parroco e molti dei volontari; Jimmy Ceriana che aveva piacere di fare conoscenza con il parrocco; io, che da poco collaboro e partecipo volentieri per conoscere e imparare; infine alla visita abbiamo invitato Roberta Donda, una collega di Unicredit responsabile del gruppo fotografico del Circolo ricreativo di Torino. Roberta è una fotografa professionista che ha accolto il nostro invito a documentare le realtà che aiutiamo.

Entriamo dall’ingresso di Via Santa Chiara. Ci accolgono Don Andrea da 15 anni parrocco di Sant’Agostino, i volontari Guido e Emanuela rispettivamente tesoriere e segretaria della sezione locale della San Vincenzo, e Antonietta una catechista. Ci fanno accomodare in cerchio e, ben distanziati l’uno dall’altro, ci presentiamo.

Sino all’anno scorso si occupava della distribuzione degli aiuti alimentari la signora Jolanda che oggi ha 87 anni. In periodo di pandemia ha dovuto ritirarsi e lasciare a Don Andrea il compito di affrontare l’emergenza. Dice il parroco :”Ho potuto dedicarmi all’attività caritativa perché la maggior parte dei mie usuali compiti erano sospesi per il Covid. Ho coinvolto un 40enne cui ho fatto il passaggio delle consegne, ma purtroppo adesso è in quarantena”.

Il quartiere è comunemente conosciuto come “Il quadrilatero”, una zona abitativa e commerciale di struttura settecentesca, ora quasi interamente risanata dopo decenni di abbandono. Lo sfruttamento intensivo dello spazio ha prodotto edifici alti e densamente abitati. Ci sono ancora sacche di povertà – continua don Andrea -, interi stabili di case popolari, in particolare in Via Santa Chiara e in via Bellezzia. Nella zona ci sono circa 4000 abitanti e 8 chiese; c’è quindi una grande dispersione di fedeli. Un 15% frequenta la parrocchia di Sant’Agostino.

Sono circa 160 le persone oggetto di aiuto, di cui 25 in collaborazione con l’Opera Pia Cucina Malati Poveri, racconta ancora con le sue inflessioni toscane Don Andrea.

130 circa sono totalmente a carico della parrocchia. Quanto all’appartenenza sociale degli assistiti, si possono distinguere tre macro categorie: gli anziani e le persone di media età con pensioni minime e con fragilità più o meno acute, a volte accompagnate da instabilità psichica. Poi ci sono gli esodati, che già prima del Covid erano in condizioni critiche, e le persone che percepiscono il reddito di cittadinanza. E poi ancora 18 famiglie così suddivise: due italiane e 16 di immigrati, di cui 4 cristiane (1 ortodossa, 2 cattoliche, 1 evangelica) e 12 mussulmane (9 marocchine, 1 somala, 2 egiziane).

Una delle particolarità delle famiglie assistite è l’assenza di uomini. Le 8 marocchine, a parte la presenza di due nonni, sono costituite da donne divorziate con figli, i cui mariti si disinteressano totalmente della prole. Si tratta di badanti e colf con bambini che mandano avanti il ménage da sole con lavori saltuari. I bambini e i ragazzi abitualmente frequentano il doposcuola della parrocchia, che purtroppo per il Covid ha dovuto chiudere: un servizio molto apprezzato che fa sentire la sua mancanza. Far studiare i figli per molte di queste donne è questione importante anche al prezzo di grandi sacrifici.

Dopo il loro racconto i nostri ospiti ci accompagnano in una visita all’ampio cortile occupato in parte da un campo di calcio molto curato. Vediamo il sorprendente chiostro quadrato, tornato alla luce non molti anni fa. Nelle parti coperte sono sistemati tavoli e calciobalilla a disposizione dei bambini e dei ragazzi del quartiere. Poi scendiamo una ripida scala che porta agli infernotti adibiti a magazzino, dove sono raccolte le provviste e dove Don Andrea e i volontari preparano i pacchi.

Due sono i formati, il primo per una o due persone e l’altro per le famiglie. La consegna avviene due volte al mese. Tutti i presenti sono coinvolti nella preparazione e nella distribuzione, che in tempi di pandemia viene effettuata ad un ingresso adiacente la chiesa.

Alla fine della visita ci ritroviamo nella sacrestia completamente ricoperta di una boiserie in legno scuro di stile barocco per salutarci. Ci scambiamo impressioni e racconti. Jimmy dice ad esempio di essere stato colpito dalla naturalezza con cui si possono aiutare persone di religione diversa, e racconta di quando la nostra associazione nel 1999 finanziò con grandi difficoltà un progetto a Mostar in Bosnia, dove la guerra aveva provocato insanabili divisioni tra cristiani e mussulmani. Roberta ha scattato molte foto e ha preso accordi con Don Andrea per tornare un giorno di settimana a documentare la distribuzione dei pacchi. Usciamo che è passato mezzogiorno. Jimmy accompagnerà Roberta a casa e io Lino. In macchina Lino mi racconta di quando – prima del Covid – passava spesso in quella parrocchia a salutare, e i volontari non esitavano a confidarsi con lui.

Denise