Parrocchia di San Luca

Visita a San Luca

sabato 27 febbraio 2021

La parrocchia di San Luca si trova in Via Negarville 14, Mirafiori Sud, il quartiere nato oltre il lungo muro che delimita il lato estremo della grande fabbrica Fiat oramai svuotata dei suoi operai. Non conosco bene la zona e dunque aziono il navigatore. Roberta, la nostra fotografa, conosce la zona per avervi scattato immagini per un servizio.

Posteggiamo l’auto davanti al complesso parrocchiale. Non sappiamo bene da dove entrare: Lino ci è già stato, ma  non si ricorda. C’è un grande cortile e ci affacciamo per chiedere. Dal fondo un signore alza la voce e ci spiega che dobbiamo proseguire sino alla farmacia. Andiamo avanti e chiediamo di nuovo. Poi entriamo in chiesa. Sul lato c’è una porta che introduce in una cappella, li ci aspetta Franco Vincis, uno dei responsabili dell’Associazione di volontariato “I tralci” che siamo venuti a visitare.

Franco ci dà il benvenuto e ci fa subito apprezzare la cura con cui è tenuta la cappella: è stata ridipinta qualche anno fa dai ragazzi ospitati nella parrocchia. Usciamo nel vasto cortile: su un lato ci sono la casa del guardiano e una parte della canonica, sull’altro un edificio basso nel quale – ci informa Franco – prima c’era una scuola che, dopo la chiusura, è stata trasformata in dormitorio.

Entriamo; sono le 9 e 30, l’ora delle pulizie, nell’aria si sente l’odore del disinfettante. Dice Franco: “Ogni mattina i ragazzi ospiti rigovernano tutti i locali, le camere da letto, la sala da pranzo, l’ingresso e i bagni. Con il Covid spesso sanifichiamo tutto”. La nostra guida ci racconta inoltre che in questo momento gli ospiti sono 35, di cui 3 agli arresti domiciliari: senza una residenza precisa sarebbero rimasti reclusi. La struttura aderisce all’iniziativa del comune “emergenza freddo” rivolta ai senza tetto, trasformatasi però ben presto in “emergenza tutto l’anno”.

Prima del Covid il centro garantiva cena e pernottamento, ma con l’epidemia viene offerto anche il pranzo. Nel primo lockdown i locali erano affollati tutto il giorno perché i ragazzi non avevano altro posto dove andare!

Pranzo e cena prevedono piatti caldi cucinati giornalmente nella cucina del centro, che visitiamo e dove salutiamo uno dei volontari, Ugo, il cuoco. Tutto tranquillo, i ragazzi sono molto collaborativi e in questo momento non ci sono grossi problemi. Un ragazzo rom viene preso bonariamente in giro da Franco perché passa molto del suo tempo a pulire.

Dimenticavo di dire che il dormitorio è solo maschile e i volontari sono anche loro tutti uomini. Le signore che si occupavano della cucina, non giovanissime, hanno dovuto abbandonare il campo per evitare di ammalarsi.

Le stanze adibite a dormitori non sono grandi, ci sono letti a castello di metallo e qua e là si notano i segni dei ragazzi. Gli ambienti sono spartani e ordinati, c’è l’essenziale. Franco ci spiega che la sala da pranzo è troppo piccola per ospitare tutti rispettando le distanze, e così è stato attrezzato un altro spazio  nella zona accanto alla chiesa. A proposito di pandemia, si illumina quando dice che per ora nessun ospite e nessun volontario si sono ammalati!

Lungo il corridoio su cui si aprono le stanze, Franco ha appeso ai muri le istruzioni su come affrontare il Covid, in molte lingue: “In cinese – sino alla settimana scorsa c’era un cinese – in arabo, in francese, in inglese e in italiano, si, perché tanti sono italiani”.

Gli chiediamo quando è nato il centro e lui ci risponde che è sorto nel 1990  come centro di accoglienza per gli stranieri, ed è stato fondato da Don Matteo l’allora parrocco di San Luca. Oggi però sono sempre di più gli italiani a frequentarlo. Ci sono ragazzi che si sono fatti conoscere nel quartiere e così hanno trovato lavori saltuari.

Mi rendo conto, adesso che scrivo, di non aver osato fare troppe domande sugli ospiti anche se mi sarebbe piaciuto saperne di più. Roberta chiede di scattare subito alcune foto e se le sarà possibile tornare  a documentare la distribuzione dei pacchi. Franco dice di sì, è molto gentile e ha capito che non vogliamo essere invadenti. Gli abbiamo  detto chiaramente che siamo lì per conoscere il loro lavoro e per farlo conoscere ai nostri donatori.

Ma c’è anche dell’altro: i volontari collaborano con la San Vincenzo e assistono 174 persone indigenti che vengono il mercoledì a ritirare un pacco di viveri. Prima del Covid si distribuivano abiti, ma adesso il servizio è sospeso. Franco ci accompagna a visitare i locali della parrocchia dove avviene la distribuzione. E’ stato compilato un elenco di nomi in base al reddito, condiviso con le altre parrocchie del quartiere per evitare che qualcuno ne approfitti e faccia il giro di tutte le chiese. Anche se – precisa Franco – un pacco di pasta o una scatola di pelati non si negano a nessuno! E alle 4 di pomeriggio si distribuisce del pane.

Gli aiuti alimentari arrivano in gran parte dal Banco Alimentare e dalla nostra associazione; poi c’è chi dona le lenzuola e altro. In fondo al corridoio si apre una porta a vetri su un piccolo dehors dove degli ospiti con tanto di mascherina stanno chiacchierando. Oltre, un campo sportivo del Comune.

All’uscita Franco ci presenta Lino Bagnato, un volontario responsabile tra l’atro del giornale del quartiere “Mirafiori sud”. Ci racconta :“Purtroppo quest’anno non siamo riusciti a pubblicarlo, ma negli anni scorsi lo distribuivamo a tutto il quartiere grazie alla disponibilità di un volontario per caseggiato, che lo recapitava in tutti gli alloggi. Era, oltre che un modo per tenere informati i cittadini, anche un canale per raccogliere le esigenze delle persone sole e bisognose.

Aggiunge ancora Lino Bagnato che la popolazione del quartiere è la più vecchia di Torino. Le case anni 60/70, palazzoni popolari di 5 /6 piani abitati per tanti anni dalle famiglie di operai Fiat, oggi in gran parte sono popolate da immigrati romeni, marocchini, qualche peruviano, che hanno acquistato dai vecchi proprietari oramai anziani e spesso da soli. Ci sono però anche i figli di alcuni dei vecchi proprietari che si sono stabiliti nel quartiere abbassando un po’ l’età media.

A detta dei nostri due ospiti il quartiere è tranquillo e tutti si conoscono. Lasciano però a desiderare i servizi amministrativi, che sono stati spostati e per raggiungerli bisogna andare in macchina o con i mezzi. Il mercato e molti negozi sono stati costretti a chiudere, la biblioteca di quartiere con sede nella scuola “Primo Levi” non c’è più.  Ma Franco ci dice che ogni lunedì per i libri passa il Bibliobus, e c’è un’associazione di studenti universitari, la ARIS, che ha aperto una piccola biblioteca; nella parrocchia ci sono anche un  doposcuola e un circolo ricreativo per gli anziani. Non lontano c’è la Casa del Quartiere del Parco con un caffé e spazi per conferenze. C’è grande collaborazione tra tutte le associazioni presenti nel quartiere e pure il Comune fa la sua parte.

Quanto a Franco, lui non manca mai. Abita di fronte alla chiesa, è pensionato e dedica tutto il suo tempo all’associazione. Manifesta grande amore per il suo quartiere e riesce a farcelo vedere più bello di quanto sia apparso ai  nostri occhi quando siamo arrivati. Accanto alla chiesa c’è uno stabile a due piani – ci spiega Franco – che è del comune, ma gli affitti sono troppo alti e in tempo di crisi tutti i negozi si sono svuotati. E’ rimasta solo la posta, ma  volevano togliere anche quella.

Mentre ci salutiamo capiamo perché, quando siamo arrivati, ci hanno gridato di andare verso la farmacia. E’ da quelle parti che c’è un centro  dove fanno i vaccini anticovid, ma non ci sono indicazioni chiare e anche per quello tutti si rivolgono alla parrocchia.

Denise