Il vaccino è sicuro per le pazienti in cura per il tumore al seno?
Il vaccino è sicuro per le pazienti in cura per il tumore al seno?
Covid, vaccini e tumore al seno: cosa c’è da sapere
DI TIZIANA MORICONI
Prof.ssa Lucia Del Mastro
Il vaccino è sicuro per le pazienti? Chi ha diritto all’accesso prioritario? E qual è il momento migliore per farlo se si è in cura? Sulla newsletter di Salute Seno le risposte di Lucia Del Mastro, coordinatrice della Breast Unit del Policlinico San Martino di Genova
SIAMO entrati nella fase 2 del piano vaccinale anti-Covid e questa settimana sono cominciate le vaccinazioni per i pazienti oncologici, con la regione Lazio a fare da apripista. Secondo le raccomandazioni pubblicate sul sito del Ministero della salute, i pazienti onco-ematologici in trattamento rientrano nella Categoria 1, quella a più alta priorità per l’accesso ai vaccini. Sappiamo, infatti, che la mortalità per Covid-19 è più alta in chi ha un tumore rispetto a quella della popolazione generale (4,5%): in particolare per chi ha un tumore del polmone (25%) e del seno (13%). Per chiarire alcuni dubbi sulla vaccinazione, sulla newsletter di Salute Seno di questa settimana abbiamo raccolto le domande di donne in cura per un tumore mammario, in fase iniziale e metastatico, o che si sono ammalate in passato, e le abbiamo rivolte a Lucia Del Mastro, coordinatrice della Breast Unit del Policlinico San Martino di Genova.
Prof.ssa Del Mastro, quali pazienti possono fare subito il vaccino?
“Bisogna distinguere le pazienti che sono state operate e che assumono solo la terapia endocrina da chi, invece, sta facendo la chemioterapia. Le prime hanno lo stesso rischio della popolazione generale di sviluppare una forma severa di Covid-19: non sono considerate pazienti fragili e non rientrano nella categoria 1. Dovranno quindi attendere i tempi previsti dal piano vaccinale della loro regione in base alla loro età. La terapia endocrina, infatti, non ha un effetto immunosoppressivo. Il discorso cambia per chi è in trattamento attivo con chemioterapia o l’ha terminata o da meno di sei mesi: queste pazienti, come tutte quelle che hanno una malattia metastatica, sono più vulnerabili e hanno precedenza per la vaccinazione”.
Quali farmaci hanno un effetto immunosoppressivo e quali no?
“In generale, le chemioterapie sono immunosoppressive. Anche i nuovi farmaci inibitori delle chinasi ciclina dipendenti (palbociclib, ribociclib e abemaciclib), prescritti per il tumore avanzato, possono ridurre le difese immunitarie. Non sono immunosoppressivi, invece, i farmaci anti-HER2 (come trastuzumab e pertuzumab), oltre alle terapie ormonali di cui abbiamo già parlato”.
E per quanto riguarda l’immunoterapia?
E’ un argomento dibattuto. Chi fa solo immunoterapia, senza l’aggiunta di chemioterapia, non è un soggetto immunodepresso: al contrario, il suo sistema immunitario è potenziato. Nel tumore al seno, però, l’’immunoterapia viene utilizzata insieme alla chemioterapia nelle pazienti con tumore al seno triplo negativo metastatico, che quindi rientrano nella categoria di persone vulnerabili e devono essere vaccinate con priorità”.
Il vaccino è sicuro per chi fa chemio? Quali sono le accortezze da seguire?
“A meno di altre controindicazioni, il fatto di essere in cura per il tumore al seno non espone a un maggior rischio di effetti avversi del vaccino. Questo vale anche per chi sta facendo l’immunoterapia. Al momento, i vaccini approvati dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) per i pazienti oncologici, indipendentemente dall’età, sono quelli a mRNA (di Pfizer-Biontech e Moderna, ndr.), perché sono quelli che si sono dimostrati più efficaci nel proteggere da Covid-19. Secondo le indicazioni dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e del Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo), l’ideale sarebbe vaccinare i pazienti in prossimità dell’inizio di un ciclo di chemioterapia, quando i valori dei globuli bianchi nel sangue sono ottimali. Questa accortezza, però, non deve causare ritardi significativi né per la vaccinazione né per la terapia. Il consiglio è quello di non fare il vaccino lo stesso giorno della chemio”.
Cosa accade se il vaccino viene fatto quando i globuli bianchi sono bassi?
“Non vi è un maggior rischio di tossicità ed effetti avversi, ma c’è la possibilità che il vaccino sia un po’ meno efficace, perché la stimolazione della risposta immunitaria può essere meno efficiente”.
Come saranno organizzate le vaccinazioni?
“Verosimilmente, ogni regione e ogni centro oncologico regolamenterà le vaccinazione per i propri pazienti. Siamo in attesa di avere istruzioni precise dalla regione per sapere se il vaccino sarà somministrato all’interno del centro oncologico che ha in cura il paziente oppure nei centri appositamente allestiti sul territorio per la vaccinazione”.
E se una paziente ha già contratto Covid-19?
“In generale chi ha già avuto Covid-19 può vaccinarsi, come indicano Aifa e il Ministero della Salute. Dati recenti suggeriscono che sia però opportuno aspettare sei mesi dalla malattia conclamata. Se la malattia si manifesta tra la prima e la seconda dose, le indicazioni dell’Aifa sono chiare: l’infezione stessa rappresenta un potente stimolo per il sistema immunitario che si somma a quello fornito dalla prima dose di vaccino, per questo non è indicato somministrare la seconda dose. La vaccinazione parziale e la successiva infezione non precludono un eventuale richiamo della vaccinazione anti COVID-19 nel futuro”.
Da qualche giorno circola la notizia che dopo il vaccino si possano gonfiare i linfonodi ascellari nel braccio dell’iniezione. L’ingrossamento dei linfonodi, però, può essere anche un sintomo del tumore al seno. Cosa possiamo dire alle donne?
“Si tratta di una reazione normale, che può verificarsi anche dopo la vaccinazione anti-influenzale e non deve allarmare. Il rigonfiamento di norma regredisce nell’arco di sei settimane. La mammografia effettuata dopo il vaccino potrebbe evidenziare questo ingrossamento: è quindi importante avvisare il radiologo e gli operatori sanitari di quando è avvenuta la vaccinazione e, nel caso di linfonodi ingrossati e in assenza di altri segnali sospetti – attendere sei settimane prima di fare ulteriori indagini di approfondimento”.