DIMISSIONI CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO: PENALE
Il lavoro a tempo determinato è, purtroppo una modalità sempre più diffusa. L’articolo evidenzia la penale che spetterebbe al lavoratore se si dimette anzi tempo. Ma questa non esiste se c’è mobbing…
Fonte: laleggepertutti.it – articolo di Carlos Arija Garcia – 9 febbraio 2023
Si può interrompere un rapporto a termine prima della scadenza? Che cosa comporta per il dipendente e per il datore? Quando c’è risarcimento?
Per definizione, un contratto a termine non è per tutta la vita ma non per questo può essere interrotto in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo. Se il datore decide di lasciare a casa il dipendente, deve prendersi le sue responsabilità. Ma se è il lavoratore a risolvere il rapporto anzitempo? C’è una penale per dimissioni con contratto a tempo determinato?
Purtroppo per il dipendente, questa penale esiste. Il contratto a termine ha, appunto, una scadenza e deve essere rispettata da entrambe le parti, a meno che ci sia una giusta causa che motivi il recesso. Questo significa che il lavoratore è, da una parte, tutelato dalla prospettiva di non poter essere licenziato ma, dall’altra, è vincolato a rimanere in azienda fino alla fine. Il dipendente paga la penale per dimissioni con contratto a tempo determinato anche se lascia il suo posto di lavoro perché ha trovato un’occasione migliore.
Se il lavoratore si dimette senza giusta causa (mobbing, molestie, demansionamento, ecc.), la legge non prevede espressamente l’obbligo di risarcimento del danno da parte del lavoratore. Ciò nonostante, secondo la Cassazione [1], in tale circostanza il datore può contestare al dipendente l’inadempimento contrattuale con conseguente obbligo, a carico di quest’ultimo, di risarcire tutti i danni provocati al primo. Il risarcimento va quantificato, secondo la Suprema Corte, in base alle norme comuni e non nella misura indicata dal Codice civile per il recesso dal contratto a tempo indeterminato. Il solo preavviso non svincola il recedente da quest’obbligo. In ogni caso, il datore è libero di inserire nel contratto di assunzione una clausola che preveda una penale in caso di dimissioni del lavoratore.
Dimissioni contratto a termine: quando non c’è la penale
Il lavoratore con contratto a tempo determinato non è tenuto a pagare la penale al datore quando il recesso dal rapporto è motivato da una giusta causa che non consente la prosecuzione del rapporto. In realtà, e davanti a tale ipotesi, entrambe le parti possono far cessare, con effetto immediato e senza neanche bisogno del preavviso, il rapporto lavorativo.
La “giusta causa” è costituita da ogni tipo di comportamento che integri una violazione dei più importanti doveri contemplati dal contratto. Da parte sua, quindi, il dipendente potrebbe dare le dimissioni senza obbligo di penale (anche se prevista dal contratto) se viene molestato o se non riceve il pagamento dello stipendio, se l’azienda non rispetta gli obblighi di sicurezza sul lavoro o se viene adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto. Ma anche se subisce mobbing, molestie sessuali, vessazioni o altro tipo di umiliazioni da parte del datore o dai colleghi.
In casi come questi, il lavoratore non solo è legittimato a dimettersi senza pagare la penale ma non è nemmeno tenuto a rispettare il preavviso. Ha, inoltre, diritto a:
un risarcimento del danno, determinato in misura pari all’ammontare delle retribuzioni che avrebbe percepito se il contratto avesse avuto la durata prevista, a meno che, nel frattempo, non abbia trovato un’altra occupazione;
la Naspi, cioè l’assegno di disoccupazione.
Contratto a termine: quando paga la penale il datore?
La penale nel contratto a tempo determinato non è prevista solo in caso di dimissioni del lavoratore: anche il datore di lavoro è tenuto a pagarla nel caso in cui interrompa il rapporto con il dipendente anzitempo senza una giusta causa. È il caso di chi vuole risparmiare sul personale lasciando a casa chi non fa parte dell’organico in maniera stabile.
Il lavoratore licenziato prima della scadenza del contratto senza un motivo giustificato ha diritto al risarcimento di tutte le mensilità che avrebbe percepito in caso di prosecuzione del rapporto di lavoro. Tuttavia, non ha diritto ad essere reintegrato in azienda.
Da questa somma deve essere dedotto quello che il lavoratore ha eventualmente percepito per attività svolte dopo la cessazione del rapporto o che avrebbe potuto procurarsi con l’ordinaria diligenza.