DEQUALIFICAZIONE DEL DIPENDENTE: E’ MOBBING ?
Fonte: laleggepertutti.it – articolo della redazione – 8 Maggio 2022
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Sintesi della redazione Risorsa
Che cos’è la dequalificazione del dipendente? Non è altro che l’assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali si è stati assunti. Pensate a un dirigente costretto a consegnare la posta ai colleghi. Gli avvocati esprimono questo concetto con la parola demansionamento. E siccome a nessuno piace veder sminuite le proprie capacità e l’esperienza acquisita nel corso dell’intera vita lavorativa, il demansionamento è un comportamento illegittimo. Ma da qui a ritenere che possa costituire anche mobbing ce ne vuole. Ed è la stessa Cassazione a spiegare la differenza tra tali due ipotesi.
Ai giudici era stato chiesto: la dequalificazione del dipendente è mobbing? Ecco cosa hanno risposto i giudici supremi
- Dequalificazione: è illegittima?
In generale, il datore di lavoro può sempre e unilateralmente spostare il lavoratore di mansioni purché riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Quindi, il semplice spostamento del lavoratore tra settori di pari dignità non è una dequalificazione ma una semplice redistribuzione di incarichi di analoga natura. Eccezionalmente, l’articolo 2103 del Codice civile consente al datore di lavoro di adibire il dipendente a mansioni corrispondenti a un livello inferiore solo in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore: il che, in soldoni, significa che il demansionamento è lecito solo quando, a seguito di una ristrutturazione interna, l’alternativa sarebbe il licenziamento del dipendente. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali. Il mutamento di mansioni è accompagnato, se necessario, da un percorso formativo correlato alle nuove mansioni da svolgere, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni. In tali casi di spostamento a mansioni inferiori, il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi della busta paga collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (ad esempio, le indennità per particolari mansioni).
Fuori da tali ipotesi il demansionamento è illegittimo.
- Risarcimento per dequalificazione
Il lavoratore che venga assegnato a mansioni inferiori al di fuori dei limiti appena indicati può far ricorso al Giudice del lavoro per far dichiarare l’illegittimità dell’assegnazione e la reintegrazione nelle mansioni precedenti. Il lavoratore potrà richiedere il risarcimento, dimostrando di aver subito un danno proprio a causa della condotta del datore di lavoro. Il demansionamento può provocare al lavoratore:
-un danno patrimoniale, consistente, da un lato, nell’impoverimento della capacità professionale acquisita, dall’altro, nella mancata acquisizione di una maggiore professionalità, ed eventualmente la perdita di altre occasioni lavorative;
-un danno non patrimoniale (danno biologico, alla vita di relazione, all’immagine).
Il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio al lavoratore non sia futile. È risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base:
-alla persistenza del comportamento lesivo;
-alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale;
-all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti.
Spetta al lavoratore dimostrare tale danno. La prova può essere fornita non necessariamente per testimoni, ma anche tramite indizi gravi, precisi e concordanti, quali, ad esempio, la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, la natura e il tipo della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento o la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
- Quando la dequalificazione diventa mobbing
La semplice dequalificazione (o demansionamento) non costituisce di per sé mobbing. Il mobbing è caratterizzato da qualcosa in più: si deve trattare di condotte commesse dal datore di lavoro allo scopo di nuocere al dipendente. Si tratta di una pluralità di azioni persecutorie o tendenti all’emarginazione del lavoratore. Dunque, se la dequalificazione è costituita da un solo episodio, il mobbing richiede una pluralità di azioni, tutte unificate da un unico intento: quello di vessare, mortificare, perseguitare, escludere il dipendente. Pure comportamenti che, singolarmente presi, sono leciti potrebbero assumere connotati vessatori se considerati nel loro insieme.
La Cassazione ha ricordato che «è proprio l’elemento psicologico dell’intento persecutorio a segnare la distinzione tra le ipotesi di mera dequalificazione e quelle di mobbing in cui, sul piano strutturale, la dequalificazione costituisce solo il momento oggettivo dell’illecito datoriale, che va corroborato, sul piano soggettivo, da una volontà datoriale persecutoria».