VIOLENZA PSICOLOGICA SUL LUOGO DI LAVORO
Questo articolo non è solo da considerare per le numerose informazioni di carattere giuridico, m anche perché considera il mobbing una violenza di tipo “psicologico”
Fonte: www.laleggepertutti.it – articolo della redazione – 1/02/2022
Link all’articolo completo: https://www.laleggepertutti.it/546489_violenza-psicologica-sul-luogo-di-lavoro
Sintesi a cura della redazione Risorsa
Dipendente sensibile e maltrattato: è mobbing? Il comportamento del superiore o del datore di lavoro che sminuisce il dipendente con espressioni del tipo «disgraziato» e «idiota» rientra nel mobbing? In tema di vessazioni commesse ai danni dei lavoratori, la giurisprudenza ha più volte fornito svariati chiarimenti.
La cosiddetta violenza psicologica sul luogo di lavoro può diventare reato nei piccoli ambienti di lavoro, laddove il contatto diretto tra datore e dipendente rende assimilabile l’azienda a un contesto familiare; in tal caso, dunque, scatterà il reato di «maltrattamenti in famiglia».
Ma anche laddove non vi siano i presupposti per la tutela penale, le vessazioni possono rientrare nel concetto di mobbing, con conseguente diritto al risarcimento del danno e, eventualmente, alle dimissioni per giusta causa (con diritto a percepire l’assegno di disoccupazione dall’Inps).
Per comprendere bene in presenza di quali atti è possibile parlare di violenza psicologica sul lavoro e quanto tempo deve durare tale comportamento per configurare un illecito ai danni del dipendente sarà bene fare alcuni importanti chiarimenti. Come scrive la giurisprudenza, «Il mobbing si verifica nei luoghi di lavoro e consiste in una forma di violenza psicologica deliberatamente posta in essere, da un superiore o da colleghi di lavoro, nei confronti di una vittima designata. Il mobbizzato, oggetto di continui attacchi e vessazioni, è ridotto in una condizione di estremo disagio psicologico e in alcuni casi ad un crollo del suo equilibrio psicofisico.
Le occasionali divergenze di opinioni, i momenti di conflitto e gli eventuali problemi che possono verificarsi durante i normali rapporti di lavoro non integrano gli estremi della violenza psicologica deliberatamente posta in essere nei confronti del lavoratore».
Come far valere il mobbing?
Per ottenere il risarcimento del danno morale conseguente al mobbing il dipendente deve agire in un giudizio civile, attraverso il proprio avvocato, e dimostrare:
-la realizzazione delle presunte condotte mobbizzanti (elemento oggettivo);
-il dolo del datore di lavoro, del superiore gerarchico o del collega (elemento soggettivo);
-la concretizzazione del danno alla salute e alla professionalità;
-il rapporto di causa-effetto tra danno e le condotte del datore di lavoro.
In assenza di prove idonee a fornire la dimostrazione del pregiudizio affermato, la richiesta di risarcimento danni – avanzata dal lavoratore – non può trovare accoglimento.
Quando le violenze psicologiche sono mobbing?
Il concetto di mobbing presuppone non solo un comportamento protratto nel tempo, ma anche che, alla base di esso, vi sia l’intento di emarginare il dipendente, mortificarlo, umiliarlo ed, eventualmente, provocarne le dimissioni.
Dunque, il semplice fatto di sgridare il dipendente e umiliarlo in una o poche occasioni non configura mobbing, seppur resta un illecito a fronte del quale è possibile ottenere il risarcimento del danno.
Anche il comportamento burbero del datore di lavoro, per quanto ripetuto, non è mobbing perché, alla base di esso, non c’è un accanimento nei confronti del dipendente finalizzato ad allontanarlo dall’ambiente di lavoro (non c’è, cioè, il “secondo fine” che il mobbing richiede).
Le singole condotte di vessazione e di violenza morale diventano mobbing quando causano nella vittima un progressivo accumulo di disagio, degenerato in uno stato di prostrazione psicologica .
La fragilità della vittima
Nell’ipotesi in cui la persona danneggiata sia, per la propria condizione soggettiva, più fragile e vulnerabile di altri soggetti della stessa età e sesso, tale circostanza non incide né sul nesso di causa, né sull’attribuzione della colpa e nemmeno sulla liquidazione del danno.
Offese continue contro i dipendenti
Abbiamo detto che, nei piccoli ambienti di lavoro, le vessazioni possono integrare il reato di maltrattamenti. In questi casi è possibile presentare una querela alla Procura della Repubblica, ai Carabinieri o alla Polizia di Stato.
Per la sussistenza del reato di maltrattamenti è sufficiente qualsiasi condotta di abituale prevaricazione, tale da infliggere al destinatario vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, in tal modo imponendogli un regime di vita persecutorio o umiliante ed un clima di abituale sopraffazione. Non v’è dubbio che tale condizione possa realizzarsi anche attraverso il reiterato ricorso ad offese o al turpiloquio nelle relazioni interpersonali, soprattutto quando questo avviene anche in presenza di colleghi di lavoro della vittima e di clienti, inevitabilmente compromettendo la dignità e la reputazione del lavoratore.
Offese dei colleghi e stalking
Oltre al mobbing, negli ambienti di lavoro si può anche verificare lo stalking. Secondo la Cassazione è configurabile il reato di atti persecutori (appunto lo stalking) in capo al lavoratore che prende costantemente in giro un collega. Per la Corte, infatti, le condotte contestate dall’appendere in bacheca foto compromettenti sino al finto furto della bicicletta, non possono essere considerate come scherzi sporadici, ma vessazioni e umiliazioni sistematiche tese a ridicolizzare il collega per la sua menomazione.