OMOFOBIA: DIPENDENTE MOBBIZZATO E DERISO
L’articolo è interessante perché evidenzia che i comportamenti mobbizzanti possono assumere anche valenza penale; nel caso di specie si tratta del reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) e di diffamazione (art. 595 c.p.); inoltre si evidenzia la tematica di diritto del lavoro del licenziamento discriminatorio.
Fonte:https://www.perugiatoday.it
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Sintesi a cura della redazione Risorsa
Insultato e trasferito senza mansioni in una sede distaccata, fino al licenziamento. Il giudice del lavoro lo reintegra e la Procura ha indagato i superiori e i colleghi dell’uomo.
Secondo l’accusa sei persone avrebbero, a vario titolo, “maltrattato il dipendente, sottoponendolo a continue e ripetute condotte vessatorie e discriminatore” da cui “scaturiva una situazione di obiettiva costrizione e soggezione psicologica”.
Nel capo d’imputazione sono riportati i comportamenti tenuti dai superiori nei confronti del dipendente a tempo indeterminato: un imputato lo avrebbe minacciato “di licenziamento qualora non fosse stato più in grado di fare il suo lavoro dopo l’infortunio sul lavoro” e lo avrebbe obbligato a consegnare “la certificazione medica attestante il ricovero a seguito di TSO benché la malattia fosse ampiamente documentata ai fini previdenziali”. Un’altra imputazione riguarda l’aver diffamato il dipendente “con l’appellativo ‘matto’ rivolgendosi agli altri dipendenti dell’azienda” oppure insultandolo davanti a tutti e chiamandolo “imbecille” e “cretino”.
Nelle accuse è finito anche il trasferimento in una sezione distaccata per “farlo lavorare in condizioni di totale isolamento ed emarginazione” oppure affidandogli un incarico che “di fatto, era privo di mansioni”, fino al licenziamento. Alcuni imputati devono rispondere dell’accusa di atti persecutori perché “in concorso tra loro, con le reiterate condotte, molestavano il loro collega, cagionandogli un grave e perdurante stato di ansia”. Secondo l’accusa lo avrebbero deriso e sbeffeggiato in più occasioni alludendo al suo orientamento sessuale”. Altri imputati, invece, lo avrebbero diffamato chiamandolo “frocio, checca, finocchio” alludendo apertamente, e falsamente, a prestazioni sessuali a pagamento del collega. In altre occasioni avrebbero istigato altri colleghi a tenere comportamenti vessatori, continuando ad insultarlo con espressioni offensive relative all’orientamento sessuale o simulando una camminata effemminata quando andavano a prendere il caffè alla macchinetta aziendale.
Il dipendente mobbizzato si è costituito parte civile insieme ad un’associazione contro l’omofobia.. La vicenda ha avuto anche un risvolto processuale davanti al giudice del lavoro, in quanto i dipendenti coinvolti erano stati poi licenziati. Il giudice del lavoro ha disposto il reintegro ritenendo il provvedimento di licenziamento ingiusto a fronte di comportamenti non provati dalle testimonianze.