IL LAVORO CHE NON SI TROVA
Marco Brando è uno degli autori di SenzaFiltro, giornale on line con cui abbiamo intrapreso un percorso di collaborazione sui temi del disagio lavorativo. Siamo lieti, come Risorsa, di pubblicare integralmente questo suo articolo perché smentisce, con dovizia di particolari (e di link), la “narrazione” degli imprenditori che affermano di non trovare lavoratori. Da ciò il titolo “Il lavoro che non si trova”. Leggendolo, ne scoprirete la causa sostenuta dall’autore…
Tra primavera ed estate, a tenere banco in Italia c’è stato un messaggio negativo: giovani e meno giovani preferirebbero vivere di sussidi, tanto che vari imprenditori cercano gente da assumere ma non la trovano; né per lavori stagionali nel settore turistico, né per impieghi a tempo indeterminato. Un (presunto) fenomeno assai stigmatizzato ‒ negli editoriali come nelle chiacchiere da bar ‒ perché quei nullafacenti remano contro il rilancio post-pandemia.
Qualcuno potrebbe ricordare che da alcuni anni, periodicamente, alcuni datori di lavoro denunciano la mancanza di candidati. Certo, però nel 2021 è stato tirato fuori il jolly: ci sarebbe chi non vuole lavorare perché preferisce godersi il reddito di cittadinanza, varato all’inizio del 2019 dal primo governo Conte. La tesi della sussidio-dipendenza è stata sostenuta anche da big dell’imprenditoria come Guido Barilla, presidente del gruppo omonimo.
Si tratta di racconti rilanciati dai media professionali, spesso senza fare verifiche. È quindi interessante riflettere sulla narrazione di questo strano caso. Tanto più strano se si considera che, secondo gli ultimi dati dell’Istat, in Italia oltre una persona su dieci non riesce a trovare lavoro, sebbene lo cerchi (il 10,5% a maggio 2021, nella fascia tra i 15 e i 64 anni); con un picco di oltre tre disoccupati su dieci tra chi ha fra 15 e 24 anni (il 31,7%).
Sul fronte degli impieghi stagionali, le grancasse hanno suonato grazie alle lamentele di gestori di bar e ristoranti, hotel, lidi balneari, discoteche e luoghi di ritrovo di tutte le riviere. Però le rare inchieste giornalistiche dedicate a un approfondimento hanno svelato che la stragrande maggioranza delle offerte di lavoro è illegale e sottopagata. Come ci racconta Osvaldo Danzi, esperto di risorse umane e social media recruiting, nonché editore di SenzaFiltro: «Tanti non trovano dipendenti perché li pagano molto poco e in modo illegale. Però divulgano notizie sulla gente che non ha voglia di lavorare per farsi pubblicità sui media compiacenti. Basterebbe che andassero in un Centro per l’impiego, cui ci si può rivolgere gratis, per dichiarare di quale tipo di lavoratore hanno bisogno, quanto intendono pagarlo, con quale contratto, eccetera. Forse c’è chi teme proprio di dover fare un contratto regolare».
La situazione è così surreale che, a un certo punto, hanno fatto notizia proprio le imprese che assumono rispettando le norme. Come l’Hotel Aros di Rimini, certificato della start up Ethicjobs. «Abbiamo fatto questa scelta: sostanzialmente, seguire le leggi. Che poi, onestamente, non dovrebbe suscitare scalpore, dovrebbe essere la normalità. Invece è così: sfruttare i dipendenti, farli lavorare in nero, sono cose date per scontate», ha detto Daniele Ciavatti, che col fratello Maurizio gestisce l’albergo, in un’intervista all’HuffPost.
Tuttavia anche le aziende che offrono contratti a tempo indeterminato sostengono di avere difficoltà nel reperire dipendenti. Secondo le analisi mensili del Sistema informativo per l’occupazione e la formazione Excelsior (sostenuto da Unioncamere e Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) ‒ elaborate in base a informazioni fornite autonomamente da un campione di 1.300.000 aziende ‒ ogni mese ci sono decine di migliaia di offerte di lavoro. Ebbene, gli imprenditori dichiarano di scovare in media solo 2 dipendenti su 3; in alcuni settori sarebbe difficile trovarne addirittura uno su due. Per esempio, nel rapporto Excelsior di luglio 2021 le imprese hanno dichiarato di essere pronte ad assumere nel corso del mese 534.250 persone, ma dichiarano di avere difficoltà a trovarne il 31%, cioè più di 150.000. Mancherebbero all’appello operai specializzati (-42,6%), tecnici (-40,7), dirigenti e professioni intellettuali, scientifiche e con elevata specializzazione (-38,4%), conduttori di impianti e operai di macchinari fissi e mobili (33,4%), professionisti in attività commerciali e servizi (-28,3%); si cercano, ma si trovano poco, persino impiegati (-20,77%) e lavoratori non qualificati (-17,8%).
Come mai? Ammesso e non concesso che la disponibilità ad assumere sia davvero quella dichiarata, la situazione dimostra che il sistema formativo italiano non risponde alle esigenze del mercato del lavoro: in Italia manca chi sappia indirizzare nella scelta del corso universitario, della scuola superiore, del mestiere. Tuttavia ogni anno sono a disposizione circa 300.000 laureati (290.772 nel 2020, secondo AlmaLaurea) e circa 450.000 diplomati. Possibile che manchino così tante persone da assumere? In realtà esistono, ma è difficile saperlo. Perché? Le aziende non sanno trovarli, tanto meno sfruttando il web (solo il 3% delle imprese, secondo l’ultimo rapporto Istat, è maturo dal punto di vista digitale); si affidano solo al passaparola o al massimo a qualche agenzia di lavoro interinale. Mancano pure ricerche di talenti negli atenei e programmi di sostegno agli istituti tecnici, come capita invece in altri Paesi dell’Unione Europea (UE).
Inoltre, in Italia non c’è una banca dati nazionale, in cui domanda e offerta di lavoro si possano incontrare. Ciò ha contribuito a rendere poco efficace il ruolo dei cosiddetti “navigator”, assunti per individuare, tra i percettori di reddito di cittadinanza, chi può avere un’occupazione. Per giunta, le politiche attive per il lavoro sono gestite dalle Regioni, però i siti non sono connessi tra loro. Così chi non trova lavoro in Puglia non può sapere se nel Veneto ci sono opportunità lavorative adatte a lui.
Veniamo proprio al reddito di cittadinanza. Se il sistema per la ricerca di un lavoro destinato a chi ne usufruisce zoppica, questa forma di sussidio ha aiutato e aiuta molte persone prive di risorse economiche. Ha un valore tale da giustificare la rinuncia a un posto di lavoro? Come ha scritto Francesco Seghezzi (presidente della Fondazione ADAPT, fondata dal giuslavorista Marco Biagi), «la polemica che vede il reddito di cittadinanza come concorrente dei lavori stagionali», non rivela altro che «il livello inaccettabile dei salari proposti a questi lavoratori, così bassi da poter competere con il sussidio, che ha un valore medio mensile inferiore ai 500 euro». Più chiaro di così…
Fonte: www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Il_lavoro_che_non_si_trova.html articolo di M. Brando – 21/7/2021