INNOVAZIONE SOCIALE E IBRIDAZIONE TRA PROFIT E NON PROFIT
Si è svolto recentemente in streaming un incontro dal titolo: “Innovazione sociale e ibridazione tra profit e non profit” organizzata dal Centro Servizi Vol.To, con la partecipazione del rappresentante di una importante Fondazione di origine bancaria. Anche questa volta non citiamo il nome del relatore, per motivi di privacy, ma solo i contenuti. Il tema era su come il mondo del profit e quello dell’associazionismo non profit potessero reciprocamente collaborare, in particolare con lo scambio di tecniche proprie dei 2 universi, ma suscettibili di “contaminazioni virtuose”. Risorsa tiene a sottolineare che, nel titolo, la parola ”non profit” era usata correttamente poiché il più usato “no profit” significa che il Volontariato e il Terzo Settore non producono alcun profitto, mentre “non profit” significa che è sottinteso “oriented”. Questa leggera differenza è importante in quanto afferma che anche le organizzazioni del Terzo Settore possono fare profitti, ma non sono “orientate” solo ai profitti degli azionisti (stockholders), profitti che le organizzazioni (di Volontariato e di altra natura ivi ricomprese) sono tenute a redistribuire in attività solidaristiche, allo scopo di produrre un impatto sociale su tutta la comunità di riferimento (stakeholders)
Fonte: Vol.To Video completo al link
Sintesi e commenti a cura di Ferdinando Ciccopiedi – Vice Presidente Risorsa
Fatta questa premessa da parte di Risorsa, iniziamo a sintetizzare alcuni punti della relazione presentata. Il relatore sottolinea che le “erogazioni” concesse dalle Fondazioni di origine bancaria non sono pura “filantropia” ma si inquadrano in un sistema progetti e azioni nei campi della cultura, del welfare, del territorio e dell’istruzione, con un ritorno di immagine per l’Ente erogante, purché i fondi siano riferibili a progetti dotati “di senso”, siano innovativi e adeguatamente rendicontati, in modo da poter costruire un indicatore sintetico detto “SROI” (social return on investment), che si differenzia dal classico ROI (return on investment). Questa “ibridazione” si colloca tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU per promuovere uno sviluppo globale, il benessere umano e la protezione dell’ambiente vedi link
In questa lista, vi sono molti obiettivi correlati a tematiche del mondo del lavoro, ma scopo del relatore era di spiegare proprio l’ultimo, il n. 17, che recita infatti:” Rafforzare i mezzi di attuazione degli obiettivi e rinnovare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile”. Tra i mezzi di attuazione degli obiettivi rientrano le analisi dei “big data” che, grazie alla potenza delle reti informative, consentono di individuare aree di intervento, prima fra tutte la riduzione delle povertà. L’importante è che i risultati dei finanziamenti richiesti ad Enti come le fondazioni bancarie, siano misurabili. Ma anche le aziende possono partecipare a progetti con impatto sociale e per un pianeta sostenibile che porta loro una crescita reputazionale a medio termine, non sostitutiva ma aggiuntiva rispetto all’obiettivo primario del profitto, senza il quale non potrebbero esistere. La locuzione “di medio termine” non si può essere disgiunta dal concetto di “investitore paziente” poiché solo la misurabilità dei dati è la ragione stessa dell’investimento aziendale, così come di quello delle Fondazioni bancarie o altri Enti. Infine i consumatori stessi possono partecipare ad uno sviluppo sostenibile, acquistando i prodotti di aziende attente all’ambiente, al lavoro, alle pari opportunità, in sostanza di aziende “etiche” aderenti ai principi della Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR). Il relatore sottolinea che in USA il codice di autodisciplina delle grandi aziende quotate in borsa prevede un cambiamento in questa direzione. In tal modo la capacità finanziaria diviene uno strumento e non il fine, finora considerato primario, di crescita dei profitti. La disuguaglianza tra poveri e ricchi non è solo un portato dei nostri giorni, se si pensa che già Plutarco la individuava come “malattia mortale” nella polis dell’antica Grecia. La trasposizione moderna dell’effetto delle diseguaglianze è il sovranismo che può sfociare nelle dittature. Altro elemento da tener presente per chi richiede un finanziamento di utilità sociale è l’innovatività del progetto, dalla scuola fino alle esperienze di welfare al tempo della pandemia. Infatti il welfare è il collante della tenuta sociale, quel “well being” che molte fondazioni aziendali (es. Snam) stanno cercando di attuare raggruppandosi fra loro. Sono questi gli esempi portati dal relatore per dire che “l’ibridazione” tra profit e non profit è la vera innovazione sociale che costituirà la sfida dei prossimi anni per la società civile italiana.
A commento della relazione, cerchiamo ora di individuare qual è stato il contributo dei Volontari di Risorsa nella determinazione della utilità sociale dell’associazione nel prevenire i fenomeni del mobbing e del disagio grave sul lavoro per creare un mondo del lavoro più giusto e rispettoso della dignità di tutti. Secondo quanto è stato calcolato in occasione della stesura del Bilancio di Missione 2016, se si considerano il numero di volontari coinvolti e le ore da questi dedicate alle attività istituzionali (Sportelli d’ascolto e Gruppo di Mutuo Aiuto) e progettuali (soprattutto per il sostegno psicologico di lavoratori e lavoratrici), l’associazione di Volontariato Risorsa avrebbe erogato servizi gratuiti per una somma, a valori di retribuzione minima di mercato, intorno a € 70.000 (media annua del periodo 2007/16). Si può ipotizzare che, ad oggi, tenuto conto della riduzione delle attività a seguito della pandemia, non sia molto discosto da quel valore massimo. E’ questo un modo, seppur abbastanza grezzo, di individuare lo SROI di Risorsa, come ritorno sociale sui suoi investimenti, solo in piccola parte co-finanziati da Enti esterni, tra cui speriamo possano rientrare anche le Fondazioni di origine bancaria, oggi assenti dalle progettualità associative.