LE SFIDE DELL’ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO
Ecco una breve sintesi e commenti dell’incontro cui ha partecipato Ferdinando Ciccopiedi, Vice Presidente Risorsa
Fonte: Incontro in diretta Facebook con il prof. Stefano Zamagni – 01/12/20 a cura del Centro Servizi Vol.To
Da quando, nel lontano 2007, ad un corso di found raising residenziale organizzato da IdeaSolidale a Pracatinat (erano altri tempi !), sentii parlare del prof. Zamagni, economista di quell’ ”Alma mater Studiorum” che è l’Università di Bologna e il più importante studioso del mondo del Volontariato, non ho mai smesso di seguirlo in numerosi convegni. Oggi, grazie alla tecnologia (nonostante piccoli inconvenienti), ho potuto sentirlo anche in diretta streaming. L’argomento riguardava il tema di come è possibile conciliare Stato, Mercato e Sociale.
Il professore ama sempre ricordare che quel “sociale” rappresenta ciò che oggi è il Terzo Settore, con tutti i suoi Volontari (scusate se l’iniziale è maiuscola, ma voglio sottolineare come il volontario non è una persona comune e, come tale, merita la V maiuscola). L’altra sua premessa ricorrente è che il volontariato non è nato con la “filantropia” di origine calvinista nei paesi del nord Europa, in funzione “additivista” all’economia politica che, nell’epoca della rivoluzione industriale del 700/800, sembrava dischiudere le porte della ricchezza umana. In questo senso la filantropia poteva solo aggiungersi al guadagno economico. Il volontariato – sostiene Zamagni – , è nato ben prima in Italia grazie alla matrice cattolica della sua cultura. La differenza sta che nel fatto che il cattolicesimo prevede uno “sviluppo umano integrale” ove la funzione addittivista (che ci sia o non ci sia, cambia poco) viene sostituita dalla funzione di “sussidiarietà circolare”. Con essa si intende innanzitutto che la ricchezza va redistribuita se non si vuole aumentare il divario tra questa e la povertà e preservare la sostenibiltà sociale (in poche parole, per non scatenare rivoluzioni !). L’unico mezzo per dare accesso ad un potere d’acquisto per soddisfare i bisogni primari e secondari è il lavoro. Esso infatti remunera il capitale, attraverso la produzione di beni, ma permette anche a crescenti masse di persone di aver accesso ai consumi. E qui scatta il pensiero originale del prof. Zamagni quando afferma che il lavoro deve soddisfare 2 condizioni. La prima si definisce “acquisitiva” poiché garantisce sia produttività alla parte datorile, sia una vita decente ai lavoratori che possono così soddisfare i bisogni materiali ed è quindi “giusta” (secondo il dettame biblico di dare la giusta mercede all’operaio) Ma un lavoro giusto non basta perché non soddisfa la seconda condizione che si definisce “espressiva” poiché dovrebbe consentire l’affermazione della personalità attraverso il lavoro ed in questo senso il lavoro deve essere non solo giusto ma anche “decente”. Il lavoratore non deve sentirsi umiliato o inutile e se la catena di montaggio alienate e umiliante nelle fabbriche private ha ridotto il suo peso, così non è per la “burocrazia” del settore pubblico. Spesso infatti il Pubblico è “giusto” (ad es. con i contratti a tempo indetreminato), ma non offre lavoro “decente” ( i passacarte infatti si sentono inutili !). Ora, tra il “Mercato”, espressione del settore privato” e lo “Stato” espressione del settore pubblico, il “Terzo Settore” che raggruppa le attività di carattere sociale e di volontariato, si pone come terzo elemento per costruire una vera “economia sociale di mercato”, in una sintesi che dà giustizia e dignità al lavoro e a fare, in generale, ciò che si ama. Infatti il Volontario non è retribuito, l’associazione di volontariato ha l’obbligo di reinvestire gli utili, eppure tutti questi soggetti fanno il loro “lavoro” con gioia perché danno e ricevono all’interno della società civile. Per meglio far comprendere questi concetti il prof. Zamagni traccia l’evoluzione della società nel tempo: fino ad oggi il Mercato ha soddisfatto i bisogni primari dei lavoratori, (es. cibo, casa) lo Stato ha soddisfatto- o ha cercato farlo- i bisogni pubblici (es. strade, ma anche welfare) ciò che manca nella società post-moderna è l’attenzione per altri 2 elementi di una società sostenibile: i “beni comuni” (a partire dall’acqua, per passare alla “conoscenza” e terminare con l’includere l’intero ambiente) e i beni “relazionali” (tipici l’amicizia e l’empatia verso gli altri). Da tutto ciò deriva che ciò che misura la “felicità” non può più essere la crescita del PIL (quasi gli umani fossero animali in cerca di cibo) ma deve essere un nuovo indicatore chiamato BES, acronimo che sta per: Benessere, Equità, Sostenibilità. Conclude Zamagni dicendo che proprio questo indicatore genera la “gioia” di tutta la società. Una bellissima sfida e un messaggio adatto sia per me, sia per l’associazione Risorsa che si batte, nel suo piccolo, per un lavoro giusto, dignitoso e relazionale: proprio gli ingredienti per sconfiggere il mobbing !