NON POSSO LICENZIARTI: ALLORA TI MOBBIZZO
Era il 31 gennaio 2001 quando la dott.ssa Elena Onori (pseudonimo che tutela la privacy della protagonista) mi disse di aver messo piede per la prima volta nello studio della psicoterapeuta. Piangeva molto, quando cercava di parlare diventava tutta rossa, le si bloccavano i muscoli del volto e della gola, non riusciva assolutamente ad esprimersi. Aveva tra le mani due diversi fogli d’invio da esibire alla terapeuta, entrambi datati l’anno precedente. L’uno era una sorta di prescrizione da parte di un Centro di Medicina del Lavoro molto autorevole dove si leggeva Disturbo dell’adattamento in situazione occupazionale di dequalificazione in disturbo di personalità. Utile psicoterapia finalizzata ad una migliore gestione dei fattori occupazionali disturbanti e ad un recupero della progettualità che includa aspetti esistenziali maggiormente differenziati”. L’altro era la conclusione della perizia medico-legale sostenuta per la causa legale di demansionamento e mobbing sul posto di lavoro dove si leggeva “….. si indicano spese per le terapie medici-farmacologiche e psicoterapiche già indicate nei prossimi due anni e si valuta una spesa complessiva di …… con riserva di spese aggiuntive. Se la paziente non verrà riabilitata sul piano personale, psicologico e lavorativo esiste la possibilità che i disturbi tendano ad ulteriore peggioramento, per cui si fa riserva di nuove valutazioni del danno permanente nel tempo.”Sul finire della prima seduta, nell’atto di accordare tra le parti che si sarebbe impostata una psicoterapia per circa 18 mesi (una seduta a settimana) la terapeuta chiese a Elena: – Quali aspirazioni attualmente depone nella psicoterapia? – La dottoressa rispose: – Vorrei essere in grado di svolgere un lavoro diverso, magari abbandonare il pubblico impiego e lavorare nel privato e scrivere un libro per testimoniare questa mia esperienza di mobbing -. Il 7 maggio del 2005 uscì in libreria il libro di E. Onori Direttrice di niente- esperienza di mobbing nel pubblico impiego. In questo testo, che non è un manuale, ma un racconto autobiografico, è racchiuso tutto il suo essere mobbizzata, la segregazione progressiva sul lavoro chiamata mobbing della quale la dottoressa è stata vittima nei sei anni di persecuzione, ma che realizzando il suo intento, è riuscita a superare e a vincere mettendo in gioco fino in fondo la sua stessa vita. Elena è una donna che lavora sin dalla giovane età nel pubblico impiego dove ha orientato la sua laurea in Medicina e la successiva specializzazione verso i sistemi di vita collettivi. Seguace del modello sistemico-relazionale, nel corso degli anni si è specializzata nella conduzione ed organizzazione di comunità di piccole e grandi dimensioni: Famiglie, Gruppi, Centri per disabili, una Casa di cura, un Istituto. La dottoressa Onori, 40 anni, vive in una grande città del centro Italia. Sposata con due figli piccoli, nel 1995 veniva promossa Direttrice di un grande servizio residenziale (un Centro Geriatrico). Dopo pochi anni, la sua bravura e le sue proposte per rendere efficiente l’Ente pubblico venivano bloccate in modo sempre più pesante. Accuse ingiustificate, provvedimenti ingiusti e passaggi in posti parcheggio si susseguivano fino al vero e proprio isolamento lavorativo in una “stanza spogliatoio” per un intero anno. Quasi senza accorgersi, si imbatteva in una pesante e contorta controversia avviata contro di lei dai dirigenti che si susseguivano nel tempo. Elena riconosceva da subito che si trattava di mobbing, ma, ciò nonostante, ne restava intrappolata per oltre sei anni. La vicenda lavorativa si svolse negli anni 1998-2004. Mentre subiva le accuse dei superiori e da esse si difendeva con l’aiuto degli “esperti” (l’avvocato, il giudice, la psicoterapeuta), ai fatti reali si alternavano in lei remoti quanto imprevedibili ed assillanti pensieri ed emozioni attorno a nuovi e sinora sconosciuti vissuti di vergogna, povertà, malattia e infine di morte. Progressivamente tutto si trasformò per lei in patologia, anche i semplici gesti del mangiare, del dormire e del comunicare si alterarono. Elena mi spiegava: – E’ questa la misura del disastro esistenziale prodotto dal mobbing su di me-.La somatizzazione dello stress, gli attacchi di panico, la depressione, sono oggi realtà comuni più di quanto si pensi e che condizionano il benessere psichico di molti lavoratori in situazioni conflittuali, proprio come stava succedendo a lei. Elena è anche reduce di due cause presso il Tribunale del Lavoro con relative sentenze. Al giudizio di primo grado (sentenza del dicembre 2001 immediatamente eseguibile) seguì quella del giudizio di secondo grado (sentenza del ricorso d’appello del 2003). La dottoressa esce dalla vicenda apparentemente gloriosa, (con la vincita legale al primo giudizio a cui segue in appello la trattativa con la controparte), ma ne resta alquanto amareggiata e la piena ripresa della carriera lavorativa non le basta ad annullare le tracce del mobbing subito. Tutte ferite lasciate nella sua memoria e nella sua psiche. E’ a questo punto che decide di scrivere il suo racconto autobiografico: questo libro vuole essere una testimonianza per chi si trova in situazioni simili e non sa come reagire (dalla prefazione). Ho conosciuto l’intera vicenda della dottoressa Onori e, nel corso degli anni, ho seguito personalmente tutto il travaglio della stesura di tale testo del quale ora scrivo a nome dell’autrice che è stata e resta una mobbizzata e pertanto, deve mantenersi nel rigoroso anonimato da lei auto-imposto. Elena mi dice: – Il mobbing. è anche questo: diventare inesistenti, essere un soggetto sommerso, ammalarsi e provare profonda vergogna sino a diventare anonimi di fronte a tutti e per molto tempo. Ho avuto paura, paura di perdere il lavoro e con esso la dignità e l’identità personale e lavorativa –. Mi spiega che il lavoro non dovrebbe essere totalizzante, ma certamente gioca un ruolo fondamentale nella vita di ognuno, qualsiasi tipo di attività lavorativa si svolga. Senza il saper fare che si esprime con il lavoro, è più difficile condurre un esistenza equilibrata. Quindi, è molto importante che i lavoratori siano sempre tutelati dal pericolo di perdere anche la propria dignità di persone insieme al lavoro. La storia di Elena è quella di molte persone costrette a subire il degrado morale sul posto di lavoro e a vivere continue paure. Oggi Elena Onori ha 50 anni e ha deciso che la migliore strategia di lotta contro il mobbing è, in definitiva, quella di parlarne, di portarlo allo scoperto, di raccontarlo, di definirlo, di rappresentarlo. Occorre pronunciare mille volte il nome mobbing perché molti sono i lavoratori che ne soffrono, senza saperlo, le conseguenze. Ne sentono il disagio sulla propria pelle e ne vivono il loro progressivo disadattamento sul posto di lavoro, nella maggior parte dei casi, incolpando se stessi. Elena vuole così testimoniare: – In me era avvenuto uno strano collegamento tra quella antica morte e la mia vicissitudine lavorativa. Nella mia testa questi due eventi erano strettamente uniti, forse perché vi associavo le stesse brutte emozioni e i medesimi tormenti- (cap. 3°). Elena dice che la sua storia privata di mobbing è stata resa vicenda pubblica per testimoniare quanto è delicata e complessa e quindi meravigliosa la mente dell’uomo nell’affrontare situazioni di grave stress, di sofferenza psichica e di disagio sociale. Lei protagonista del libro, anche in qualità di medico, ha inteso darne dimostrazione attraverso la identificazione in vittima. Una qualunque e tranquilla persona che lavora, invischiata progressivamente in una storia inquietante e drammatica, rende i lettori partecipi in prima persona delle sue ansie e delle sue angosce. Elena ha voluto andare oltre la sua vicenda di mobbing a nome di quanti lo vivono in solitudine e nella malattia. Si è impegnata nell’Azienda ove è stata reintegrata, per la tutela dei suoi diritti e per riprendersi la sua dignità personale e professionale, ma soprattutto fuori da Essa, creando consapevolezza nel maggior numero di lavoratori con tutti i mezzi e le modalità a lei possibili. Ciò per lei rappresenta un traguardo certo e un nuovo punto di partenza per le vittime di simili disavventure. A suo avviso occorre impegnarsi sulla via della divulgazione dell’esistenza di tali perverse azioni affinché fatti privati diventino pubbliche lezioni di vita e di maturità: – La denuncia permette di trasformare la nostra vergogna di vittime del mobbing nella loro, quella degli artefici-. Elena Onori, quando non può essere presente di persona alle interviste, dibattiti o convegni sul tema del mobbing, ama porsi con questa lettera:
“Ai presenti,
vogliate comprendere la mia assenza a questa serata di dibattito sul tema del mobbing, argomento a me ormai caro che mi ha coinvolto per ben 6 anni e con il quale ormai convivo. Sono Elena Onori. autrice e protagonista di una autobiografia: è la mia esperienza di mobbing esposta nel libro “Direttrice di niente” di cui vi ho lasciato la locandina di presentazione. La mia assenza si associa, nella sofferenza, nel significato e nella rabbia che ancora provo, ad altri due aspetti che mi riguardano da vicino: l’anonimato obbligatorio che ho dovuto adottare con la pubblicazione e che mi tutela da ulteriori successive ripercussioni (che giustifica anche l’assenza di stasera) e le grate, le inferriate presenti nella copertina del libro stesso. In realtà è una foto del luogo dove si è svolto una parte della mia vicenda. E’ così, in questo modo, che questa sera rappresento a voi il mio mobbing affinché ne possiate trarre una sensazione epidermica: con l’assenza, con l’anonimato e con delle inferriate. Una sensazione di oppressione, d’isolamento e di angoscia nell’essere impedita ad esprimermi e a manifestarmi. Sono trincerata dietro barriere non da me scelte. … il mobbing è proprio questo e questa è l’autentica sofferenza psicologica di cui si parla nei manuali e che gli esperti spiegano. All’inizio mi sembrava il racconto di una triste vicenda lavorativa individuale, poi ho deciso che questo libro poteva essere un esempio. In fondo, tutte le vicende di mobbing sono così tristemente uguali e stereotipate…essere così un simbolo, non perchè c’è da vantarsi, anzi tutt’altro, ma perché ci possa essere in modo diretto un processo di identificazione. Auspico una presa di coscienza del fenomeno in modo semplice e immediato, attraverso una lettura agevole per chi versa nelle stesse drammatiche difficoltà. Tra le righe e lungo i sei capitoli, mi sono impegnata anche a dare incoraggiamenti agli addetti ai lavori, spunti agli esperti. e ad offrire qualche consiglio e tanta solidarietà ai mobbizzati di oggi e di domani.
Un pensiero solidale, Elena Onori”
Penso che Elena abbia dimostrato coraggio e saggezza ed abbia svolto attraverso la scrittura un valido intervento da poter condividere con molte persone.
Fonte: www.amicoonlus.it Dott.ssa Stefania Zazzi – 2017