TRA I PRIMI ASSUNTI CON IL JOBS ACT E POI LICENZIATO
“Altro che tutele crescenti: preferivo finire sul giornale per una storia migliore eh”, scherza M. B., operaio trentunenne, convivente con due figli. È il primo licenziato con il contratto a tempo indeterminato versione “Jobs Act” . Dopo soli otto mesi dalla firma della lettera di assunzione. Per paura di ritorsioni (“non è che poi non mi assume più nessuno?”) aveva preferito non esporsi. Ma alla fine questo lavoratore, decide di raccontarsi, “dopotutto di cosa dovrei vergognarmi?” e così inizia:
” Io facevo il camionista e stavo molto tempo all’estero. Vedevo poco la mia famiglia. Dopo quattro anni di questa vita, decido di provare ad avvicinarmi a casa”. Sapeva che in quell’azienda cercavano operai e lui aveva già fatto esperienza anni fa nel settore e così continua:
“ Presentai domanda nell’estate del 2014. A inizio 2015 mi chiamano per dirmi: ci siamo, venga lunedì. Ma poi rimandano di qualche settimana, perché aspettavano il varo della nuova riforma del lavoro. Così il 16 marzo ho firmato il contratto. Ero felicissimo. Fabbrica a 200 metri da casa, ci andavo a piedi. Due mesi di prova e poi l’indeterminato. Lo stipendio, facendo anche i turni di notte e con gli assegni familiari, era di 1.400 euro”.
Il giornalista che lo ha intervistato chiede: “ Ma non sapeva che il contratto a tutele crescenti prevede la possibilità di un più facile licenziamento?. Lui risponde:”No, l’azienda ci aveva sempre detto di stare tranquilli, e che per tre anni stavamo sicuri.”. Ma un mercoledì, durante il turno pomeridiano, chiamato dai capi, gli viene detto che, per un calo di lavoro, dal venerdì il contratto era risolto.
Il giornalista gli chiede le sue reazioni che sono focalizzate non tanto sui metodi dell’azienda (gli operai sapevano che c’erano delle difficoltà e altri 2 colleghi a tempo indeterminato hanno subito lo stesso trattamento) quanto su una normativa statale che permette queste situazioni. Le sue parole sono:
“Non ci credevo. Se sei precario, te lo puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho ripensato all’articolo 18…; il Jobs Act è una falsa promessa di miglioramento”
A questo punto non poteva mancare la classica domanda:”Senta, quando è tornato a casa con la lettera di licenziamento cosa le ha detto la sua compagna? Altrettanto normale la risposta:«È rimasta senza parole anche lei. Un fulmine a ciel sereno. Se ti parlano di “tutele crescenti” e firmi un indeterminato, vivi con una certa tranquillità. Ti fidi no? Invece scopri che era tutto frutto della tua immaginazione, o della propaganda». La conclusione dell’intervista, nelle parole dell’operaio, è amara:”Avrò la disoccupazione per qualche mese e intanto cerco un nuovo impiego; ma se
lo avessi saputo prima che andava a finire così non avrei mai lasciato il lavoro di camionista. Mi ero anche fatto licenziare dal vecchio datore di lavoro, così risultando disoccupato l’azienda ha potuto usufruire degli sgravi fiscali assumendomi…”
Fonte : Repubblica.it – articolo di Matteo Pucciarelli – 15/11/2015