2022 – Negli occhi di chi guarda
La vita quotidiana a Jangany, nel sud Madagascar
Tsy misy tsy hain’ny fo atao. Nulla è impossibile al cuore. Studentessa di Jangany – 1° ottobre 2021
È stata la ragazza che vediamo in copertina, la cui immagine ho trovato in un post facebook, e il suo stesso commento, Nulla è impossibile al cuore, a suggerirci di raccogliere questi post e proporli come spunto sulla vita quotidiana di Jangany, non tanto come un almanacco, un libro di storia locale, ma come una traccia di questo tempo difficile – gennaio 2021/maggio 2022 – segnato da siccità ed epidemia di COVID; una sorta di album di famiglia per chi da anni ama Jangany.
Li proponiamo con la consapevolezza che, per cogliere la vita e i sentimenti nascosti dietro questi scatti fotografici, senza alcuna spiegazione sulla realtà socio-culturale, occorrano occhi sensibili. La bellezza è negli occhi di chi guarda – dice Goethe, parafrasando David Hume. È questo l’augurio che facciamo a te, lettore.
Introduzione
Renato Gava, Amici di Jangany ODV
Alcuni anni fa
Alcuni anni fa (2009), il libro C’era una volta, poco poco tempo fa inaugurò, per molte persone, l’avvio di un percorso di conoscenza e di crescita di Jangany, un villaggio di una sperduta brousse sull’altopiano dell’Horombé, nel sud Madagascar: il primo pozzo, la costruzione di strade e ponti per uscire dall’isolamento, l’introduzione dell’aratro e di nuovi cibi, la riforestazione, l’energia elettrica e l’acqua potabile, il rubinetto all’interno di abitazioni costruite con mattoni e il tetto in lamiera, la prima mungitura… Tutto questo dava l’idea, ad adulti e giovani studenti in Italia, di una popolazione viva, che affrontava periodici cicloni, il passaggio delle cavallette sulle risaie, siccità e carestia passando dalla preistoria al medioevo.
Non vogliamo in queste pagine ripercorrere la storia di Jangany: i link posti al termine del libro permettono di contestualizzare il percorso compiuto in questi anni.
Oggi
Padre Tonino Cogoni, il missionario che ha avviato e accompagnato lo sviluppo di Jangany nel 1989, ha 81 anni; è tutt’ora l’unico bianco del villaggio, e tutto sembra cambiato. La scuola, frequentata da quasi 3000 alunni, dalla scuola materna al liceo classico e scientifico avviato nel 2017, l’innalzamento dell’età di vita media, il potenziamento di un piccolo dispensario medico finalmente riconosciuto dallo Stato (2021), una centrale fotovoltaica che fornisce un po’ di luce ed energia al villaggio (2016) e che dovrà ormai essere rinnovata e ampliata (2023), lo sviluppo del mercato, una parabola satellitare (2019), la realizzazione di una chiesa più bella e capiente – lavori iniziati nel 2008, dedicata a san Giuseppe patrono di Jangany, e consacrata nel 2019 – considerata con orgoglio dagli abitanti, il cui numero sfiora ormai 10.000. Non più un villaggio, ma una cittadina. E dicono laggiù, sotto l’Equatore: «Beata Jangany, che ha messo testa nuova», e ancora, «È la scuola che ha fatto la città», la scuola che, nell’ottobre 2021, ha festeggiato 25 anni di cammino.
L’orizzonte che ci fa dire Jangany non è più quella di una volta non è ormai quello, più poetico, del passaggio dalla preistoria al medioevo, ma uno scenario drammatico. A partire dal fatto che nel più profondo sud Madagascar 1,5 milioni di persone sono da mesi e mesi alla fame a seguito di un processo di desertificazione prodotto dai cambiamenti climatici. Nonostante il passaggio nel febbraio 2022 di due cicloni – Batsirai ed Emnati – non vi è acqua per le risaie e le coltivazioni. Tra pochi mesi, i famosi pozzi realizzati a Jangany di 15 metri di profondità saranno completamente esauriti. I quattro forages di 60 metri costruiti nel marzo 2022 saranno di aiuto, ma la prospettiva è drammatica e destinata a peggiorare.
E ora
Mentre tutto questo accade, la rete degli amici di Jangany in Italia continua a raccogliere fondi per aiuti, a inviare denaro e materiali via container, a progettare innovazione: come sarebbe bello un medico stipendiato presso il dispensario; svilupperemo un’iniziativa di telemedicina? E come rinnoveremo l’impianto fotovoltaico nel 2023? Come fare per far sì che finalmente il Centro di formazione rurale si sviluppi? Incapaci di aprire una scuola professionale, ce la faremo nonostante il COVID a formare ragazzi fuori Jangany con borse di studio? Potrebbe essere utile sostituire i fatapera con delle stufe pirolitiche per eliminare l’insalubre fumo nella capanna e risparmiare legna così costosa ormai! Riusciremo ad avere una connessione satellitare stabile che ci consenta comunicazioni costanti e di buona qualità? Intanto continuano le attività interculturali tra le scuole sotto e sopra l’Equatore, continua la crescita di un’amicizia importante con le persone di Jangany… Ma tutto questo, senza acqua, appare irrilevante. Siamo sconfortati.
Eppure non sono mancati momenti di entusiasmo e di forte accelerazione del progresso: il 7 ottobre 1996 si avviava con pochi scolari e di diversa età la scuola Sainte Marie; il 23 giugno 2016 partivano due container con il progetto di sviluppo energetico Una scossa per Jangany; più recentemente, la newsletter n. 52 dell’aprile 2022, mentre imperversa la guerra in Ucraina, titolava Jangany ha sete, acqua per vivere, preludio di un nuovo progetto, e citava un noto cantautore:
Vivere, ho passato tanto tempo a vivere…
Vivere e sorridere dei guai.
È proprio come non hai fatto mai.
E poi pensare che domani sarà sempre meglio.
inaugurando la pagina web https://jangany-vita.tumblr.com con questa raccolta di post proposti su facebook dai giovani di Jangany, armati di un cellulare senza pretese e allacciati, quando la connessione c’è, alla TELMA, l’azienda telefonica malgascia.
Questo libretto propone questi post, uniti a qualche immagine raccolta via whatsapp, per riflettere: come è possibile vivere diversamente, con un sorriso, in questo mare di guai, affermando consapevolmente «Penso che nei prossimi mesi ci sarà molta fame»?
Questi post, effettivamente, sono proposti da ragazzi, spesso da insegnanti, che costituiscono la parte più evoluta del villaggio, mentre immagini relative alle parti più interne dei quartieri avrebbero suscitato in noi un sentire più sofferente, ma anche lì non sarebbe mancato il sorriso.
Oltre a questo sorriso, un secondo aspetto mi colpisce profondamente per la stridente diversità da noi che stiamo sopra l’equatore: il senso di comunità, di popolo, di unità e appartenenza al villaggio stesso di Jangany, indipendentemente dalla propria etnia.
Vorrei infine rivolgermi a chi si avvicina a Jangany per la prima volta con un’ulteriore considerazione. Le immagini riportate in questo testo potrebbero trarre in inganno: dov’è la povertà? Si vedono nel mondo situazioni ben più drammatiche! Rispondo con alcune precisazioni. Effettivamente in questi trent’anni molta strada è stata fatta e quello che vediamo è frutto di un lungo cammino, avviato in un villaggio isolato e abitato da 400 abitanti e 400 maiali selvatici; sono i giovani che hanno frequentato la scuola che hanno avuto uno scatto di modernità e consentito il cambiamento, che noi stessi abbiamo cercato di agevolare e accompagnare.
Tuttavia, mentre questo libro esce, il 60% dei pozzi, costruiti dagli abitanti manualmente, sono prosciugati. La situazione volgerà al peggio venendo a mancare l’acqua potabile. I sistemi realizzati – fotovoltaico, parabola satellitare, forages – sono fragilissimi e vanno sostenuti con costi economici molto alti per una piccola associazione come la nostra. Mentre lo sviluppo potrebbe oggi portare il numero degli abitanti a 15.000 ci interroghiamo sulla sostenibilità, sull’impari lotta con una siccità che da sud si sta spostando verso nord per gli importanti cambiamenti climatici e potrebbe generare migrazioni.
Tornano le espressioni di ogni anno al sorgere di difficoltà importanti: Jangany intreccia una crescita meravigliosa e fragile insieme, un intreccio soprattutto dato dal desiderio di emancipazione e le grandi avversità naturali.
Questo libro è dunque la testimonianza di un percorso, un percorso di 30 anni.
Molte persone che oggi lo sfoglieranno non hanno mai conosciuto padre Tonino, non hanno vissuto il punto di partenza che ha emozionato qui bambini e genitori in Italia, associazioni e comunità parrocchiali; quasi un brivido nel ripensare a quando i disegni dei bambini di Jangany che sognavano il futuro giungevano qui, a chilometri di distanza geografica e culturale. Ed erano così simili a quelli dei nostri bambini.
Ora siamo a un punto di svolta. Quel delicato e fragile progresso raggiunto va sostenuto; non possiamo permettere che i cambiamenti climatici che stanno negando la pioggia da tre anni, prosciugando i pozzi costruiti dagli stessi abitanti di Jangany, spengano la possibilità di un’esistenza emancipata dalla miseria, tolgano la speranza ai ragazzi che con la scuola sono cresciuti guardando oltre, progettando un futuro diverso per sé e per il proprio villaggio. Sta a noi, sopra l’equatore, e a loro, sotto l’equatore, mantenere e alimentare il sogno.
Tsy misy tsy hain’ny fo atao.
Nulla è impossibile al cuore.