2017 – Il furto che ha sporcato la terra

Esce così, nel settembre 2017, un libro che ha una lunga storia e che qui si conclude.

Dopo la prima edizione Il gusto della legalità, con prefazione del Procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli, di questo libro è seguita una versione francese destinata al Madagascar.

Gli eventi del libro (2012-2016) seguono progressivamente lo sviluppo e gli inaspettati eventi intercorsi all’indomani del furto che ha messo una cappa di fumo sul villaggio fino alla conclusione del processo.

Il testo è completato da una postfazione di Renato Gava e gli amici di Jangany che illustra, attraverso la corrispondenza non censurata di questi anni, i sentimenti che hanno travagliato questa esperienza tra le più dolorose della vita del missionario.

Un testo che avvince per scrittura, succedersi di eventi che paiono surreali se non fossero veri, intrecciarsi dei sentimenti umani e spirituali dell’autore… un libro che insegna a lottare contro i macigni della corruzione e della illegalità che sovrastano il mondo.

 

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Postfazione

di Renato Gava

È stato per me sorprendente seguire la nascita di questo libro. Non si tratta solo di una testimonianza storica di fatti raccontati nel loro svilupparsi, nell’arco di pochi anni, ma del racconto di un’attesa, di qualcosa che avrebbe dovuto compiersi.

Padre Tonino Cogoni ha avuto la visione immediata – chiara fin dall’inizio, sulla soglia del container dove è avvenuto “il furto alla missione” – della lacerazione che mandòto ny tanana [il fatto che ha sporcato la terra] avrebbe portato al villaggio, ma anche del percorso di emancipazione che veniva ora richiesto.

Sono passati diversi mesi prima che qui in Italia venissimo a conoscenza del furto: il dolore spirituale, prima di tutto, e la prudenza hanno segnato i giorni amari e la solitudine del missionario, insieme a quelli del sostegno della sua fede in un momento oscuro.

Gli amici di Jangany vennero informati per la prima volta con questo messaggio del 5 maggio 2012:

«Carissimi amici e benefattori di Jangany, Questa volta, devo informarvi di un momento difficile che sta vivendo la nostra missione.

In tutto il Madagascar, si sta manifestando una recrudescenza del brigantaggio e della delinquenza, che indica una degradazione della situazione generale.

A partire da novembre 2011, qui a Jangany, abbiamo assistito ad azioni di brigantaggio che non si erano più viste dall’inizio della nostra scuola (1996). I delinquenti hanno osato di nuovo assalire i recinti dentro il villaggio e rubare i buoi, sfondare le case e portar via le pentole e le poche attrezzature delle povere famiglie. Ogni notte, si sono susseguiti assalti alle case e gesti di vandalismo di ogni genere. Dei ladri esperti e attrezzati hanno spaccato i lucchetti – cosa finora mai vista a Jangany – e hanno rubato anche nelle case dei nostri insegnanti e nella casa di noi missionari, dove hanno portato via i soldi destinati alla paga degli operai della nuova chiesa durante i difficili mesi delle piogge [da novembre ad aprile]. La gente subisce i furti e non osa denunciarli per paura delle vendette dei delinquenti.

Noi, come chiesa cattolica, abbiamo deciso di affrontare i rischi e di reagire contro la delinquenza. Abbiamo l’impressione di vivere al tempo dei “barbari”, quando la Chiesa era l’unica forza che osava opporsi alla furia devastatrice di Attila.

Avendo trovato delle sicure tracce dei ladri, il 14 marzo 2012, li abbiamo denunciati al Tribunale di Betroka, pur conoscendo la corruzione di ogni genere che circola in quell’ambiente. la prima cosa che fanno i ladri è quella di utilizzare una parte della refurtiva per corrompere i gendarmi e i giudici. L’inchiesta ha rivelato i nomi dei quattro delinquenti che ci hanno rubato i soldi: due briganti di Jangany, il figlio del funzionario del governo in funzione a Jangany (il padre è pienamente complice nel delitto), un gendarme in servizio a Jangany. Si è scoperta quindi l’associazione a delinquere dei briganti locali e dei funzionari del governo (la piaga che sta rovinando il Madagascar).

Dal mese di marzo a questa parte, la nostra missione è nella tormenta della vicenda giudiziaria, con tutti i rischi che questa comporta in ambienti in cui i delinquenti hanno più forza dello stato. Chi non tocca con mano non riesce a immaginare l’arroganza con cui i familiari dei ladri fanno la guerra a chi osa denunciare la delinquenza dei loro parenti: quello che conta non è la ricerca della giustizia, ma la difesa della parentela, anche se questa è iniqua. Questo è uno degli aspetti in cui si manifesta la lontananza dalla mentalità pagana dai valori di giustizia portati dal cristianesimo.

Abbiamo chiara coscienza che stiamo lottando con la potenza della malvagità e che la nostra missione sta vivendo un grave momento di prova. Abbiamo fiducia nell’aiuto di Dio, che non teme la forza maligna del demonio e degli uomini perversi.

Nonostante le difficoltà, le nostre scuole portano avanti con decisione la loro attività. Si è fermato invece il cantiere della nuova chiesa. Riprenderà quando i giudici faranno restituire i soldi rubati.

L’intento di questo messaggio è quello di mettervi al corrente della situazione che stiamo vivendo.

A causa di questa tribolazione, non ho avuto molto tempo per curare la corrispondenza. Chiedo scusa per il ritardo nel rispondere ai vostri messaggi: cercherò di rimediare al più presto.

Vi saluto con tanto affetto e vi ringrazio per l’attenzione e la solidarietà con cui partecipate alle nostre vicende.

Vi assicuro la nostra preghiera e chiedo la vostra per noi. Aff.mo padre Tonino».

 

Troviamo in questo testo ancora la speranza che i soldi sarebbero stati restituiti e osserviamo di essere stati informati dopo che, già nel mese di marzo, era avvenuta la denuncia al tribunale di Betroka.

Poco dopo, nel giugno successivo, troviamo le prime condivisioni di questo dolore:

«Carissimo Silvio, ti ringrazio per il tuo messaggio con le riflessioni che cercano di andare in profondità nel leggere il momento di prova che la missione di Jangany sta attraversando. È il momento della croce, come tu dici. Anch’io faccio le mie riflessioni e trovo nella passione di Gesù il riferimento essenziale. Dopo i giorni gioiosi della predicazione tra le folle della Galilea, vengono i giorni duri della salita a Gerusalemme e degli annunci della passione. “C’è un tempo per la gioia e c’è un tempo per il dolore”, dice la sapienza di Qoèlet (Qo 3,4).

Nella situazione in cui mi trovo, mi pare di intuire più da vicino il senso delle parole usate da Gesù nella “notte in cui veniva tradito”: “L’anima mia è triste fino alla morte”. È l’anima che è triste: sente il sapore della morte. La natura desidererebbe che quel calice passasse lontano. Gesù non è scoraggiato, ma addolorato nell’anima ed è pronto a fare la volontà del Padre. È il mistero del “corpo offerto in riscatto” e del “sangue versato in espiazione dei peccati”. Il male dell’umanità è pesante: Gesù suda gocce di sangue.

Siamo alla radice del mistero del male e del dolore. Ogni manifestazione della malvagità umana riporta a questa radice e fa vibrare nell’anima corde sconosciute di dolore. È arduo guardare da vicino questa realtà: è un mistero troppo sacro e incute timore. Il confronto con questi pensieri è difficile da reggere e si preferisce volgere lo sguardo altrove. Gli orecchi profani non possono gradire questi discorsi né le menti superficiali comprenderli.

Sono queste le riflessioni che affiorano alla mia mente durante la prova che il Signore mi fa incontrare in questa stagione della mia vita. Il coraggio per la lotta non viene dalle forze umane, ma dalla grazia di Dio. La preghiera è necessaria più di ogni altra cosa.

Mi trovo in questa savana da circa 25 anni… [vedi lettera del 26 giugno 2012] ».

 

Il libro è stato concepito nella sua struttura – che ritrovate nei titoli inalterati di ciascun capitolo – prima ancora che i fatti si compissero. La visione e la convinzione, suggeritagli da Santa Teresina, che lui stesso avrebbe sicuramente visto in faccia il ladro, sono anche una testimonianza di fede che ci viene lasciata.

Gran parte della parte iniziale del testo è stata utilizzata nel libro Il gusto della legalità. Le goût de la légalité (2013), con prefazione di Gian Carlo Caselli – per generosa disponibilità dell’allora Procuratore Capo della Repubblica di Torino – e testi degli studenti della scuola secondaria di primo grado di Jangany e di Pino Torinese, frutto di un confronto sulla legalità tra “due mondi lontani”[1].

Ma padre Tonino pensava già anche a un discorso più ampio, a vantaggio della difficile situazione di tutto il Sud del Madagascar e con la preoccupazione che il suo intervento culturale potesse ritorcersi contro il villaggio, già provato dalla recrudescenza del brigantaggio, per possibili vendette.

A precise domande, per capire come realizzare il libro, il Mompera rispose con queste parole:

«Descrivendo puntualmente un fatto avvenuto, intendo mettere in rilievo una mentalità bisognosa di raddrizzamento e un comportamento che ha bisogno di correzione. I malgasci che leggeranno la descrizione dei fatti reali potranno essere stimolati a una riflessione su se stessi e prendere coscienza dei grossi difetti da correggere e del lavoro di educazione da affrontare per far uscire la popolazione dalla schiavitù della falsità e dell’ingiustizia. Lo scopo per cui scrivo questo libro è quindi essenzialmente missionario: portare la luce dei valori del Vangelo in un ambiente che giace nelle tenebre».

 

Ma qual è il target di questo libro? Quante copie ne facciamo?

«I destinatari sono gli amici di Jangany e del Madagascar. Intendo fare una impegnativa presentazione in cui spiego chi sono gli amici e chi i nemici di Jangany e del Madagascar: gli amici sono quelli che operano per il bene del popolo malgascio, i nemici invece sono quelli che operano per il suo male. Preciserò con chiarezza che i nemici peggiori del popolo malgascio possono essere all’interno di questo popolo. I fatti descritti dimostrano nel concreto chi sono i nemici che, dall’interno, guastano e rovinano la povera popolazione riducendola a una miserevole schiavitù e privandola di sviluppo per l’avvenire. Può capitare così che gli amici più veri del popolo malgascio siano i benefattori che, dall’esterno, cercano con sincerità il bene di questo popolo e operano generosamente per il suo sviluppo spirituale e materiale».

 

E in quale lingua lo pubblichiamo?

«Meglio prevedere un testo in solo italiano per gli amici dell’Italia e uno in solo francese per i lettori del Madagascar. I lettori italiani sono tutti quelli che si interessano della nostra missione. I lettori malgasci che prevedo sono i preti malgasci, le suore, i seminaristi, i cristiani maturi ed educati a prendere parte attiva ai problemi sociali. Dall’ambiente della chiesa, il libro potrà raggiungere anche gli ambienti giudiziari e politici interpellati dai fatti raccontati, ma prevedo che questo avverrà in un secondo tempo, se il libro troverà interesse prima nell’ambiente della chiesa. Il numero delle copie da stampare in francese potrà essere attorno a 500. Se il libro susciterà interesse nel popolo, ci sarà qualcuno che, qui sul posto, si interesserà di tradurlo in malgascio e di diffonderlo. Meglio un libretto stampato, come abbiamo fatto finora. Chi vivrà vedrà».

«Lo scopo è mettere tra le mani dei lettori la descrizione puntuale di fatti avvenuti che danno un’idea della vita di una popolazione. Non puntiamo tanto a una rapida e ampia diffusione, come si fa con una denuncia che esige un intervento urgente, quanto ad una calma informazione che favorisca una riflessione sui fatti e una voglia di cambiare la situazione».

«Occorre trovare qualche sponsor, senza dubbio. Tra voi di Torino e quelli della Sardegna, penso che riusciate ad affrontare questo problema. Se il Signore vuole che quest’opera missionaria vada in porto, non mancherà di aiutarci. Provate a parlare anche di questo con Silvio Maghenzani e con Carlo Pili».

 

Le citazioni che ho fin qui ripreso sono state scritte prima che venisse completata la stessa prima parte del libro. In questo arco di tempo gli amici più intimi e il sottoscritto hanno pensato, con tutto l’affetto possibile che ci lega, che padre Tonino fosse un testone che non si rassegnava, e che tanto i soldi non sarebbero tornati. Anche i confratelli vincenziani non erano troppo convinti dell’opportunità di questo libro. Un padre a Ihosy – uomo di grande valore, intelligenza e impegnato non molto distante da Jangany – disse con preoccupazione che era come se «padre Tonino investe un’enorme energia in questo furto, in questo processo, e non si accorge della quantità di fango in cui è, e la macchina che ha messo in moto per spalare via questo fango rimarrà impantanata» come i mulini a vento di don Chisciotte.

 

Nell’agosto 2015 padre Tonino comunicò: «Quello che avevo da dire l’ho detto, possiamo procedere anche senza la conclusione della causa». Il libro era pronto per essere pubblicato nella versione francese. Con il passare dei mesi si è resa evidente non solo l’impossibilità di recuperare il denaro rubato, ma anche quella di compiere il processo e di regalare, al popolo malgascio e agli abitanti del villaggio di Jangany, un esempio di giustizia compiuta, un segno tangibile di una società nuova.

Ma mentre il Mompera stava per rientrare in Italia, per incontrare gli amici di Jangany, incontrò all’aeroporto l’avvocato che lo assisteva; questi lo informò che il Governo aveva trovato il denaro per pagare i giudici di Tulear affinché venissero a Betroka per la sentenza.

Padre Tonino sospese per la seconda volta la pubblicazione, sia pensando alla portata delle parole scritte – disse: «Questo libro è una bomba, occorre aspettare per evitare ritorsioni sulla missione» – sia per includervi l’esito della sentenza. Padre Fahamaro a metà settembre informò che la data era stata fissata per il 16 ottobre, non fu facile trovare un biglietto di ritorno e padre Tonino ripartì il 7 ottobre, dopo avere concentrato in pochi giorni i molteplici incontri con chi lo sosteneva qui in Italia (Nuoro, Cagliari, Lucca, Torino, Desenzano del Garda…). Doveva per tempo rientrare, ritrovare tutti i testimoni necessari, presenziare con loro al processo.

Gli esiti felici sono esposti nella lettera del 17 ottobre, il giorno dopo la sentenza. Il compiacimento per una sentenza di giustizia porta finalmente contentezza e insieme preoccupazione. Lui scrive: «Faremo i commenti in seguito», mentre l’amico Silvio gli risponde subito con

«Carissimo Tonino, ho letto il messaggio: conoscendo un po’ la situazione penso che difficilmente vedrai tornare i soldi rubati e così anche la speranza che vadano in carcere quanti sono latitanti.

È stato sancito il principio della giustizia, ed è già molto, ma vedo ancora nebuloso quello del risarcimento.

Temo che ora tu ti debba aspettare la vendetta di chi ha perso la faccia [afa baràka] ed ora gira libero per Jangany e quindi ti chiedo un supplemento di attenzione.

Continuiamo a pregare. Silvio».

Con trepidazione anch’io:

«Carissimo uomo caduto dal cielo, siamo stati tutti felici della sentenza del tribunale. Ho aspettato a risponderti e ho avuto un po’ di paura anche a leggerti, poiché sono cose più grandi di noi. Come dici tu “vedremo”, per i latitanti soprattutto e quelli in libertà vigilata. Mettiamo soprattutto la tua incolumità e quella della missione nelle mani del Padre. Un importante seme di giustizia è stato gettato e, certo, potrà essere un momento storico e profetico».

Nei giorni seguenti, mentre ancora ringraziava «Dio che quella nuvola si è diradata», segnalava però a Silvio alcuni particolari del suo ritorno:

«Le notizie di qui non sono buone per quanto riguarda la sicurezza e la situazione generale.

I briganti hanno rubato tutti i buoi del territorio attorno a Jangany ed ora stanno tentando di espugnare anche i recinti di Jangany. Per andare al processo di Betroka, ho dovuto attraversare parecchi villaggi devastati dai briganti: capanne incendiate e deserte, rovine di ogni genere: lo scenario che deve essersi visto in Europa dopo in passaggio degli Unni e dei Vandali. Vi racconterò ancora in seguito».

 

Nonostante tutto, questo libro rappresenta un seme che potrà portare il suo frutto, e non posso non trovare analogie tra l’operato di padre Tonino e la tenacia con cui il profeta Elia dell’Antico Testamento cercava giustizia contro i falsi profeti, non rassegnandosi a una società corrotta.

La scuola, che mentre scrivo ospita 2.163 bambini e ragazzi, rappresenta il punto di riferimento più forte per uscire dal pantano del brigantaggio e della corruzione: nessun ragazzo che ha frequentato la scuola di Jangany è diventato un brigante.

Le parole della sua prefazione, scritte nel luglio 2016, congiungono la sapienza di chi sa tenere insieme amarezza e fiducia nella misericordia di Dio.

[1] In quel testo, per garantire al percorso scolastico una necessaria laicità, vennero omesse alcune parti che vengono qui invece proposte.