2017 – E’ meglio essere in due, se cadi c’è chi ti rialza
Questo testo, unito ai materiali delle attività interculturali svolte con l’IC di Pino Torinese, ha conseguito il premio “E’ questa l’inclusione che vogliamo” assegnato dalla Università degli Studi di Padova nel 2017.

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Presentazione
L’Istituto Comprensivo di Pino Torinese, con piacere e grande sostegno, desidera partecipare al concorso “È questa l’inclusione che vogliamo”, il cui tema riveste un’importanza sociale altissima, per il benessere delle persone e, in fondo, quale presupposto imprescindibile per la stessa sopravvivenza di qualsiasi contesto di convivenza e di crescita.
Il tema dell’inclusione è stato al centro dell’attenzione del nostro Istituto Comprensivo fin dai primi anni in cui ancora pochi ne parlavano (attraverso attenzioni didattiche, la competenza specialistica di alcune insegnanti, l’utilizzo di IPDA fin dalla scuola dell’infanzia, la collaborazione con gli Enti territoriali). Grazie a questa sensibilità abbiamo intrapreso un particolarissimo percorso interculturale che si è sviluppato, da ormai 10 anni, nell’incontro tra due scuole lontanissime non solo in senso geografico, ma soprattutto in senso socio-culturale: il nostro Istituto e l’École Sainte Marie di Jangany, uno sperduto villaggio posto sull’altopiano dell’Horombè, in una delle zone più povere nel sud del Madagascar.
Questo percorso, avviato con un mercatino natalizio della scuola primaria Domenico Folis nel 2007, nell’intento di fornire il corrispettivo dei banchi in legno per nuove aule all’École di Jangany, ha trovato occasione in un atto solidale che ha posto al centro il diritto di tutti allo studio, volgendo quindi l’attenzione dei nostri scolari a realtà di compagni coetanei privi delle opportunità di vita considerate invece come disponibili a tutti.
Di lì a pochi mesi si è sviluppata una storia meravigliosa tra i nostri scolari, dalla prima alla quinta, e quelli della scuola Sainte Marie: un incontro reale e diretto, attraverso scambi di lettere e disegni, fotografie e interi filmati, scambi mossi da curiosità e reciproco interesse, che ha toccato di anno in anno diversi argomenti di confronto tra le diverse situazioni di vita, come usiamo dire, sotto e sopra l’Equatore. Si è trattato quindi non di un gemellaggio formale tra istituti scolastici, ma di un vero e proprio percorso di amicizia, di desiderio di conoscenza, culturale e personale nonostante le distanze, e sicuramente anche di affetto.
Dalla primaria Folis il percorso si è poi esteso anche alla scuola dell’infanzia (Calvino e Collodi), alla primaria Podio e alla secondaria Nino Costa; ha inoltre incluso (possiamo usare questo termine?) genitori, insegnanti, in più occasioni realtà territoriali e associazioni.
La partecipazione del nostro Istituto a questo concorso vuole pertanto caratterizzarsi come trasversale, inclusiva di tutte le realtà che lo compongono, attraverso attività che hanno coinvolto i bambini della scuola dell’infanzia, i ragazzi della primaria (classi V) e quelli della secondaria (classi III). Fanno parte integrante della nostra partecipazione alcune altre proposte costituite da libri, filmati e puzzle, che costituiscono una testimonianza del nostro percorso. I materiali che presentiamo al concorso sono quindi frutto delle attività di quest’anno e, in continuità, degli anni passati.
La ricchezza della diversità nell’incontro tra due scuole
Il primo tema di questo incontro, tema centrale che è poi stato come una matrice implicita anche in tutti gli altri confronti successivi, è stato la ricchezza della diversità.
Per capire la concretezza di queste parole, nei vissuti dei nostri scolari e degli stessi insegnanti, occorre pensare che venti anni fa in questo villaggio non si conosceva neppure il ferro, l’ignoranza era totale, la mortalità altissima, anche a causa della alimentazione esclusivamente centrata sulla manioca. La scuola di Jangany (inaugurata il 7 ottobre 1996 dal missionario padre Tonino Cogoni, tuttora unico uomo bianco al villaggio) è stata un motore di cambiamento prima di tutto culturale, che ha dato la spinta a una crescita straordinaria: «Ny sekoly no nanao ny tatana» [È la scuola che ha fatto la città]. Il villaggio è passato da 400 a 5000 abitanti, la speranza di vita da 37 a 45 anni, la scuola da 0 a 2300 bambini e ragazzi, si è sviluppato il mercato e quelli che giungono da fuori dicono «Sambatra i Jangany fa namoaka loha vaovao» [Beata Jangany che ha messo testa nuova].
Immaginate quindi l’impatto culturale e umano, che questo incontro ha avuto nell’esperienza dei nostri scolari? Immaginate il segno che può lasciare il racconto del primo pozzo per avere acqua, della prima mungitura per avere latte dove molti sono sdentati per mancanza di calcio, dell’introduzione dei pomodori che là non volevano mangiare perché troppo rossi e quindi velenosi, dei primi aratri dove non si conosceva il ferro e dove gli antenati avevano altri usi… ?
Dopo la visione di filmati con la vita di Jangany segue ogni anno un breve incontro con il missionario e scatta nella comprensione e nella consapevolezza degli scolari uno scarto: «ma allora queste cose che abbiamo visto nel film sono vere, non sono una fiction!».
E di qui gesti di affetto sincero come quello di un bambino della primaria che prende in disparte il missinario e gli dice «Ma se ti do questi semini… tu li metti in tasca… li porti a Jangany e li semini… così poi avete la frutta da mangiare»; o di un ragazzo della secondaria che, dopo avere sentito nella mattina parlare padre Tonino di un suo incontro con uno dei più violenti capo briganti del sud Madagascar con lo scopo di chiedergli di non passare da Jangany con la sua banda, era tornato a cercarlo per stringergli la mano e abbracciarlo e dirgli «coraggio» [il brigante aveva poi risposto che non sarebbe venuto perché non valeva la pena per due pentole «sporcarsi le scarpe con la polvere del villaggio»]. La relazione è reale: i bambini della primaria rinunciano all’intervallo per chiedere a padre Tonino «i coccodrilli entrano in casa di notte?», «ma dopo il ciclone come fate la ricostruzione?», «l’intervallo lo avete anche voi a scuola?», «perché i bambini del filmato non hanno le scarpe?», «ma voi la fate la raccolta rifiuti?», «e come fate con gli handicappati?», «cos’è quella roba bianca che mangiano i bambini?». Un bambino ha scritto: «Voi venite da un paese molto lontano… e noi anche».
Pure a Jangany i bambini si stupiscono. Dopo aver visto la canzone Faingana cantata da 300 bambini della primaria, uno ha detto: «Ma… a Pino Torinese parlano in malgascio?».
Inclusione e reciprocità
Inclusione è sempre un’espressione di incontro, ed è sottinteso che siano almeno due parti a includersi, nella reciprocità. La reciprocità è stata un valore implicito di questo percorso di scoperta della ricchezza delle differenze: non c’è stata una parte superiore all’altra, non elemosina, non sufficienza, ma pari dignità tra persone con opportunità e limiti diversi, nella convinzione che entrambe avrebbero tratto una crescita da questo incontro.
In sostanza, così come sopra l’Equatore i nostri ragazzi hanno colto la felicità dei bambini e dei ragazzi di Jangany privi delle loro opportunità (per capirci: di cellulari, TV, computer, giochi elettronici, vestiti, ecc.), felici di giocare come loro, desiderosi di poter studiare come novità della loro vita, contenti e stupiti che qualcuno si interessasse di loro: si può quindi essere felici anche senza molte cose considerate indispensabili e non sono; ci sono ritmi di vita diversi e più tempo per sorridere; abbiamo ospedali, scuole, case e strade che non tutti hanno… così allo stesso modo anche nei ragazzi dell’École è cresciuta la consapevolezza che esiste un mondo altro da cui è possibile imparare cose nuove, con cui comunicare e mutuare esperienza, ed è per questo che a Jangany si sono aperti a un orizzonte più vasto dell’altopiano dell’Horombè, che le persone hanno iniziato a pensare al futuro [parola che non esiste nella loro lingua]: al villaggio c’è stato come un passaggio dalla preistoria all’età moderna, ma questo salto non ha stravolto la cultura e le tradizioni del sentire delle persone.
In conclusione nel percorso di scoperta della diversità, dell’altro, e in questa relazione di inclusione il rispetto è stato un presupporto, la curiosità senza pregiudizio un motore.