Alzheimer e metodo validation

 

 

Alzheimer e metodo validation, come ridare dignità ai nostri malati

Il metodo validation è un modo di comunicare con un “grande anziano disorientato”. È così che questo approccio chiama le persone affette da demenze senili, proprio per ridare dignità alla persona curata. Insieme alle terapie non farmacologiche, è utile a mantenere attive le funzioni dei malati.

Il metodo validation è stato creato negli anni Ottanta dalla gerontologa Naomi Feil che, lavorando con le persone anziane, si era accorta di come la maggior parte dei disturbi comportamentali nascesse da difficoltà di comunicazione. Mettendo insieme teorie psicologiche diverse, da quelle di Jung a quelle di Freud, da Erikson a Rogers, da Maslow a Zuckerman… la dottoressa Feil ha creato un approccio all’Alzheimer riconosciuto dalla comunità scientifica.

Il nome viene dal verbo inglese to validate, che significa dare valore, e insegna, quando ci troviamo di fronte a un malato di Alzheimer, a non cercare soluzioni a quello che dice o cerca di dire, ma ad ascoltare e dare valore ai suoi sentimenti. Fondamentale nel metodo validation dell’Alzheimer è l’empatia, il che significa riconoscere e rispettare il disorientamento della persona, anche quando è privo di logica. Il metodo validation si affianca alle terapie non farmacologiche nella cura dei malati.

La comunicazione è possibile anche negli stadi avanzati della malattia: accettando l’anziano per quello che è, condividendo e comunicando su un piano emozionale, senza mentirgli. In pratica, non dobbiamo soffermarci sul contenuto dei suoi racconti, ma sull’emozione che lo muove. Un classico esempio può essere la frase di un malato di Alzheimer: “sto aspettando la mamma”, in casi come questi non bisognerebbe dire né “sta arrivando”, né “è morta”, cosa che a livello inconscio già sa. Una frase come questa esprime una mancanza d’affetto e un bisogno di contatto ed è questo che dobbiamo dare a una persona che dice una frase come questa.

Il metodo validation dice proprio come toccare ed entrare in empatia attraverso la comunicazione verbale e quella non verbale, importante per gli stadi avanzati della malattia. Naomi Feil ha creato una serie di principi da applicare quando ci si rapporta con anziani malati. Tra i tanti, ne riportiamo due:

  • Tutte le persone sono uniche e degne di rispetto quindi bisogna comunicare con loro con rispetto.
    Questo per esempio vuol dire che non bisogna rivolgersi con il tu a un malato, né usare espressioni come “tesoro mio” o “amore”; è preferibile invece rivolgersi con “signore” o “signora”, perché così facendo gli o le diamo valore.
  • Ascoltare con empatia genera fiducia, riduce l’ansia e ristabilisce la dignità.
    Questo principio deriva dallo psicologo Rogers e prevede un approccio incentrato sulla persona per riuscire a cogliere ciò che l’altro sente.

Gli operatori (ma anche i familiari) non devono tentare di riportare gli anziani alla loro realtà. Le persone affette da demenza senile tendono a vivere nel passato e questo è un meccanismo di difesa, perché tornano a un periodo della vita in cui erano persone rispettate con un ruolo sociale. Ed è fondamentale sostenere questo bisogno.

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