COME AIUTARE L’ANZIANO DISORIENTATO NELLA QUOTIDIANITÀ

I familiari si sentono soli nell’affrontare le difficoltà e i disagi dovuti alla gestione di un anziano con demenza/disorientamento e senza armi per “combatterli” nel quotidiano.

Tutto questo porta a dedurre che la diffusione delle informazioni “sull’argomento demenza” stia avvenendo soprattutto all’interno dell’ambiente professionale e con lentezza ai familiari caregiver. Questo vale sia per Validation che per altri metodi, che incontrano difficoltà a diffondersi a livello capillare.

Come sempre dico, ringrazio quotidianamente di aver conosciuto e applicato il metodo Validation, che mi permette di affrontare l’aspetto relazionale con serenità e “sicurezza” e che, nel mio piccolo, cerco di far arrivare al maggior numero di persone.
In alcune circostanze però mi sono tornate utili anche delle strategie che riguardano altri aspetti dell’assistenza alle persone disorientate. Strategie alternative che ho acquisito negli anni, attraverso l’esperienza e partecipando a vari corsi di aggiornamento sulla demenza.

CHE COS’È METODO GENTLECARE?

Pensando alle difficoltà che i caregiver affrontano quotidianamente e che possono davvero essere alleggerite da aiuti provenienti anche da competenze diverse, potrebbe essere utile conoscere l’esistenza di un altro metodo che ho avuto modo di incontrare nel mio percorso formativo: il Metodo Gentlecare.
Il Metodo Gentlecare ha, tra l’altro, recentemente visto momenti di confronto e dialogo con Validation e vorrei condividere con voi alcune strategie che ho potuto utilizzare e apprezzare sia in ambito lavorativo, che personale, e che riguardano in specifico l’ambiente di vita.

Ambiente, che da Moira Jones, autrice del metodo, viene ritenuto protesico, visto cioè come una protesi d’aiuto per l’anziano che ha perso le capacità fisiche, cognitive e sensoriali.
Ambiente che può essere “utilizzato” per intervenire e risolvere problematiche presenti, ma anche per prevenire quelli che sono definiti disturbi comportamentali, e che spesso derivano invece da una alterata percezione dell’ambiente da parte dell’anziano.
A causa di disturbi visivi per esempio, alcune situazioni possono essere distorte e creare reazioni imprevedibili, ma evitabili, se ne conosciamo i meccanismi.

SCALINI IMMAGINARI, BUCHI VIRTUALI E LIBRERIE COME AIUTO PER L’ANZIANO DISORIENTATO

È noto che l’anziano con deficit visivo possa interpretare quello che vede in un modo completamente diverso dal reale e di conseguenza far diventare l’ambiente un fattore ostile o, al contrario, favorevole.

Un esempio di ambiente che da un momento all’altro diventa ostile è la riga che si forma fra due tipi di pavimenti diversi, e che può essere improvvisamente interpretata dall’anziano come un gradino o un ostacolo.

Possiamo vederlo mentre prova a superarla alzando il piede, oppure mentre si rifiuta di proseguire, opponendosi, fino a mostrare in alcuni casi, aggressività che potrebbe causare una conseguente serie di difficoltà nella gestione del momento, come ad esempio impedirci di accompagnarlo a letto se la riga è sulla porta della sua stanza.
Questo può diventare motivo di conflitti e tensioni fortissime se non se ne comprende la causa, mentre ecco che il problema può essere risolto seguendo i suggerimenti del Metodo Gentlecare, semplicemente uniformando il pavimento.

Lo stesso meccanismo può essere sfruttato anche al contrario, per evitare che l’anziano disorientato esca di casa a nostra insaputa. Creando, ad esempio, una riga netta con del nastro adesivo scuro si ottiene lo stesso effetto ostacolo della riga sul pavimento o ancora, collocando un tappeto nero davanti alla porta d’entrata si riesce a creare un “buco” virtuale che gli impedisce di avvicinarsi alla porta per uscire.

Sempre una riga, ma che invece diventa parte di ambiente amico, è quella che noi utilizziamo a volte in struttura tracciando sul pavimento il percorso fra due ambienti con un nastro adesivo colorato, per aiutare l’anziano con disorientamento spaziale a trovare facilmente la propria stanza o il bagno.

Anche un cartello sulla porta della camera con il nome della persona scritto grande ne favorisce l’identificazione immediata fra tante porte uguali, o ancora un cartello con la scritta bagno, o cucina, che aiuta ad individuare facilmente l’ambiente che serve in quel momento.

Un altro aiuto che ci può arrivare dall’ambiente, e che è stato trattato in un precedente articolo è il “mascherare le vie di fuga”.
Nella struttura in cui opero, una porta che è stata rivestita con carta da parati facendola apparire come uno scaffale pieno di libri, ha interrotto le “migrazioni” di una signora da un reparto all’altro che causavano continue ricerche.
Si tratta di una strategia che può essere estremamente utile anche a domicilio, mimetizzando una porta come libreria, o anche come armadio, si può ridurre la richiesta di uscita.

Questi sono solo dei piccoli esempi, ma significativi, di quanto l’aspetto “ambiente” visto come protesico, su suggerimento del Metodo Gentlecare, possa essere di supporto nel quotidiano così complesso delle famiglie coinvolte nella cura degli anziani disorientati.

 

QUANDO TRA E NOI E L’ANZIANO NASCONO DELLE BARRIERE COMUNICATIVE

Qual è il primo pensiero che viene in mente quando si parla di barriere comunicative riferite alla relazione con l’anziano disorientato?

Spontaneamente il nostro pensiero va alle difficoltà, da parte dell’anziano di comprendere quello che gli viene detto, questo dovuto al fatto che la demenza crea, già dalla sua insorgenza, dei deficit cognitivi che interferiscono con il linguaggio sia parlato che compreso.

Questo decadimento, che rende complicata la comunicazione “verbale” con i nostri anziani, aumenta con il passare del tempo. La loro difficoltà nel comprendere le parole rende sempre più complicato, per chi assiste, guidare verbalmente lo svolgimento di attività semplici, come ad esempio lavarsi le mani o prendere degli oggetti.

Allo stesso tempo subentra anche per noi la difficoltà nel capire quello che loro ci dicono. Con il progredire del disorientamento infatti, il linguaggio si fa sempre più confuso.

I termini vengono sostituiti da altri che non sono attinenti, oppure sono di fantasia (la cosiddetta insalata di parole), ma se noi siamo attenti, e abbiamo voglia di capire, possiamo intuire ed interpretare quello che il nostro anziano vuole comunicarci, anche se con fatica, almeno fino a quando le parole non diventano davvero incomprensibili e si trasformano in silenzio.

COME SUPERARE LE BARRIERE COMUNICATIVE

Quando il nostro anziano si trova nella prima fase si
tratta di difficoltà superabili, ma col tempo possono diventare delle vere e proprie barriere comunicative legate al linguaggio. Barriere comunicative che si possono presentare sotto due aspetti:

1) L’anziano disorientato non trova le parole per comunicare qualcosa, o usa termini creativi che non capiamo, e questo fa insorgere grande frustrazione da entrambe le parti che può degenerare in irritazione e successivamente in rabbia, fino all’aggressività.

Come ridurre la frustrazione e la rabbia

Qualche suggerimento da mettere in atto nel quotidiano:

  • aspettare che il blackout temporaneo si risolva;
  • lasciargli il tempo di cui ha bisogno per trovare il termine che sfugge;
  • suggerire le parole se pensiamo di avere capito quello che vuole dirci (solitamente non si offendono anzi, sono felici di essere stati capiti e si sentono rassicurati);
  • provare a rimandargli la parola come l’abbiamo capita (rispecchiare), a volte questo può fare da input per trovare la parola corretta;
  • togliere peso alla difficoltà senza sminuirne l’importanza con una frase del tipo “capisco che ti dia tanto fastidio quando non trovi le parole, ma non succede nulla se in questo momento non ti viene, proviamo a pensare ad altro e vedrai che arriveranno da sole…”.

2) L’anziano disorientato non comprende il significato delle parole che gli diciamo, di conseguenza non riusciamo a fargli compiere azioni o procedure del quotidiano anche semplici, ma importanti come lavarsi o vestirsi.

Come favorire la comprensione  

Alcune strategie utili da utilizzare all’interno delle mura domestiche:

  • Usare termini semplici;
  • mettersi alla sua altezza e guardarli direttamente in viso in modo che possa seguire il labiale;
  • fare in modo che la sua attenzione sia il più possibile concentrata su quello che gli stiamo dicendo;
  • verificare se ci siano fattori ambientali, o legati alle sue necessità di quel momento, che possano distrarre l’anziano come rumori, suoni o situazioni che quindi potrebbero attirare la sua attenzione, cercando di eliminarli o almeno ridurli;
  • dove possibile, aiutiamoci con la gestualità, se ad esempio davanti al lavandino le nostre parole “lavati la faccia” non hanno significato, proviamo ad aprire l’acqua e aiutiamolo ad iniziare la procedura;
  • laddove è possibile utilizziamo il dialetto, ricordando che questo linguaggio acquisito nell’infanzia è quello che arriva con maggior immediatezza;
  • verificare che non ci siano deficit uditivi a complicare ulteriormente la comprensione, in quel caso usiamo un tono di voce basso ed appoggiamo la mano sul petto dell’anziano mentre parliamo, attraverso la vibrazione si aumenta la possibilità di comprensione, urlare usando un tono di voce acuto non funziona;
  • sfruttiamo la “memoria visiva” provando a scrivere quello che vogliamo dire oppure usiamo le immagini per illustrare delle procedure.

QUANDO INVECE SI TRATTA DI LEGITTIMA DIFESA

Non dimentichiamo che a volte, quando ci danno risposte inadeguate o incoerenti, non è che “fanno apposta a non capire”, spesso stanno semplicemente mettendo in atto la cosiddetta legittima difesa.
Rispetto ad un deficit che percepiscono e non accettano, si difendono rifiutandolo e cercando di mascherarlo a noi e anche a sé stessi.

C’è inoltre la convinzione comune che il silenzio sia sintomo di difficoltà di comunicazione mentre in realtà il Metodo Validation ci insegna che, se noi impariamo ad utilizzare e a leggere nell’altro la parte non verbale, la comunicazione continua spostandosi su canali diversi, ma senza interrompersi.

 

 

UTILIZZARE I 5 SENSI PER ENTRARE IN CONTATTO CON L’ANZIANO DISORIENTATO

Quando parliamo di senso preferito, cosa si intende?

È noto che noi ci relazioniamo con il mondo, e con le altre persone, filtrando le esperienze attraverso i 5 sensi.

Questo concetto è stato sviluppato ampiamente dalla PNL (Programmazione Neuro Linguistica), metodo che si occupa, dagli anni ‘70, dello studio delle modalità di comunicazione.
Partendo dal presupposto che ognuno di noi conosce e interpreta la realtà e di conseguenza si esprime attraverso i 5 sensi, i suoi fondatori Bandler e Grinder, hanno rilevato che attraverso uno di essi in particolare costruiamo la rappresentazione interna soggettiva della nostra realtà.

Sono stati così individuati tre gruppi di persone che interpretano la realtà secondo il proprio senso preferito. Ci sono persone di tipo:

  • visivo, che usano la vista;
  • auditivo, che usano l’udito;
  • cinestesico, che usano il tatto, il gusto o l’olfatto.

COME RICONOSCERE IL PROPRIO SENSO DOMINANTE?

Per capire quale sia il nostro senso preferito, ci  basta osservare l’utilizzo delle parole all’interno della normale conversazione, certi termini infatti ci richiamano facilmente a uno in particolare dei nostri sensi:

  • ESPRESSIONE
  • Non ci vedo chiaro
  • Mi suona male
  • Ho una sensazione poco bella
  • TIPO DI PERSONA
  • Visivo
  • Auditivo
  • Cinestesico

Si tratta di tre modalità diverse usate per esprimere un concetto analogo, ma i termini utilizzati evocano chiaramente quale sia il senso dominante per la persona che li ha pronunciati.

Qualche volta può non risultare così definita l’appartenenza ad uno dei tre gruppi ma, anche dove sembra coesistere grande equilibrio tra i vari sensi, se si osserva bene, si riesce sempre ad individuarne uno predominante.

Un’altro modo per scoprire il nostro senso preferito consiste nel pensare a quale metodo utilizziamo per fissare delle informazioni a partire dal metodo usato a scuola per studiare.

Se ad esempio durante le lezioni per memorizzare abbiamo avuto bisogno di seguire l’insegnate guardando la pagina, o di scrivere quello che veniva detto, è probabile che apparteniamo al gruppo di persone di tipo visivo se invece ci rimanevano impresse le informazioni soprattutto prestando attenzione, è molto probabile che apparteniamo al gruppo  uditivo.

Anche la professione scelta ci può indirizzare verso il senso preferito, infatti un musicista, un avvocato o comunque un oratore è molto probabile che appartengano al gruppo uditivo, mentre uno stilista, un’estetista, un fotografo o architetto è probabile che abbiano la vista come senso prediletto.
Le professioni di tipo creativo/artigianali, come chi lavora la creta o le stoffe o altri materiali, dove c’è manipolazione, si esprime con una predisposizione al contatto che fa pensare ad una predominanza cinestesica.

Viene istintivo comprendere che, appartenere ad uno stesso gruppo ed utilizzare un linguaggio condiviso, contribuisce a creare un ponte comunicativo ed una sintonia naturale che, aggiunta alla sensazione di sentirsi compreso, rende più fluida e semplice la comunicazione fra i componenti.

CERCARE IL SENSO PREFERITO DELL’ANZIANO E USARLO PER INSTAURARE UNA COMUNICAZIONE

Anche per questo motivo, conoscere il senso preferito del nostro anziano ed utilizzare parole che lo richiamino, oltre a semplificare e favorire la comunicazione, può contemporaneamente aiutarci a mettere in moto il meccanismo della fiducia che deriva dalla sensazione “parli la mia stessa lingua, mi capisci, posso fidarmi…”.

Naturalmente la prima strategia da utilizzare per comprendere a quale gruppo appartiene il nostro anziano è l’osservazione dei termini che la persona usa normalmente nell’esprimersi e che, utilizzati in modo inconsapevole dalla persona, ci guidano alla scoperta del suo “senso preferito”.

Vediamo alcune parole chiave, come quelle che richiamano la vista:

  • chiarire;
  • focalizzare;
  • guardare;
  • illustrare
  • immagine;
  • lampante;
  • luce;
  • occhio;
  • oscuro;
  • osservare;
  • prospettiva;
  • scena;
  • sguardo;
  • vedere;
  • visione;

Le parole chiave che richiamano l’udito:

  • armonia;
  • ascoltare;
  • chiaro;
  • dire;
  • raccontare;
  • ritmo;
  • musicale;
  • senza parole;
  • silenzioso;
  • suona bene;
  • tacere;
  • tono;

Le parole chiave che richiamano il senso cinestesico:

  • afferrare;
  • approfondire;
  • caldo;
  • concreto;
  • contattare;
  • percepire;
  • pesante;
  • pratico;
  • ruvido;
  • sensazione;
  • soffrire;
  • solido;
  • stringere con mano;

L’uso mirato dei termini di uno di questi gruppi, inseriti all’interno della comunicazione, ci aiuta ad entrare con maggior facilità in sintonia con la persona con cui vogliamo relazionarci.

L’utilizzo di  questa tecnica è funzionale anche nella comunicazione con le persone disorientate in quanto, usare termini che appartengono al loro canale sensoriale dominante, ci aiuta ad agganciare la loro attenzione ed in alcune situazioni può fare la differenza, come ad esempio quando chiediamo loro di fare qualche cosa oppure abbiamo bisogno di fare una domanda.

Se abbiamo di fronte un visivo possiamo anche scrivere delle procedure semplici da fare piuttosto che scandirle a voce passo a passo nel caso di un uditivo, in questo modo riusciremo ad avere più attenzione e maggior correttezza nell’esecuzione (come ad esempio nel lavare i denti).

Comprendere il senso preferito ci può essere inoltre d’aiuto anche per trovare le strategie migliori nei momenti di noia del nostro caro o per “tranquillizzarlo” nei momenti di crisi.

Sappiamo bene che tecniche come la musicoterapia o la pittura, o altre ancora,  possano essere di aiuto indipendentemente dal senso preferito, ma l’utilizzo specifico della musica o della radio o della lettura con una persona che predilige l’udito  è probabile che dia maggior risultato, così come guardare foto, immagini, quadri  potrà aiutarci con chi preferisce l’uso del canale visivo, mentre svolgere attività manuali o sensoriali favorirà l’attenzione e la calma in una persona cinestesica.

COSA FARE QUANDO L’ANZIANO SI CHIUDE IN SE STESSO ED ENTRARE IN CONTATTO DIVENTA SEMPRE PIÙ COMPLICATO?

Conoscere questa tecnica può rendere più facile superare il muro della chiusura ed entrare in contatto, se:

  • uso lo sguardo, il contatto degli occhi o immagini significative con l’anziano visivo;
  • prediligo il verbale (canzoni, preghiere filastrocche) con l’uditivo;
  • mi concentro sul contatto fisico (carezze, massaggi) nel caso dell’anziano cinestesico.

È probabile che, nonostante la comunicazione in questa fase del disorientamento sia più difficile, se noi andiamo incontro al nostro anziano sfruttando il canale comunicativo a lui più congeniale e familiare, abbiamo maggior probabilità di riuscire ad agganciarlo ed entrare, anche se per poco tempo, in contatto con lui.

Un contatto che se riusciamo ad instaurarlo anche solo per un breve momento si può tradurre in un’emozione indescrivibile ed indimenticabile per il familiare.

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